Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica: solidi e compatti nei loro reali intenti? Mi sia permesso di sollevare qualche dubbio
Di: Andrea Panziera
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Chi, come il sottoscritto, non ha mai smesso di ascoltare con sommo piacere la musica rock degli anni ’70 e ’80 comprenderà immediatamente che il titolo di questo articolo fa il verso ad uno dei più celebri album dei Jethro Tull, per la precisione il quinto.
Sull’assunto che i c.d. BRICS, acronimo che sottende Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, siano solidi e compatti nei loro reali intenti tanto da somigliare al celebre mattone del disco di Ian Anderson & soci, beh, qualche dubbio ce l’avrei. Molto francamente, l’unico tratto che fuor di ogni dubbio li accomuna è la prassi di governo presente nei rispettivi Paesi, non propriamente un fulgido esempio di democrazia, di rispetto dei diritti umani e di tutela delle minoranze etniche o religiose.
Per il resto, mi sembra un’ammucchiata un po’ raffazzonata, dove l’unico collante è rappresentato da una certa (o forte) avversione per il sistema politico occidentale, in qualsiasi versione lo si voglia declinare, che ha trovato un minimo denominatore comune nella contrarietà delle sanzioni verso la Russia decretate dalla stragrande maggioranza delle Nazioni in seguito all’invasione dell’Ucraina. Se questa decisione possa costituire il cemento con il quale creare una alleanza politica stabile e duratura, accomunata da interessi economici e strategici convergenti, è ipotesi tutta da verificare.
Allo stato attuale, mi sembra che questa costruzione, sicuramente importante nei macro numeri, si configuri come piuttosto fragile nei suoi valori fondativi, una sorta di colosso di Rodi alla cantonese. Sì, perché è del tutto evidente che a tirare i fili del gioco saranno unicamente i cinesi, i quali su altri versanti utilizzano lo strumento della dipendenza infrastrutturale per incrementare la loro sfera di influenza.
In Africa, così come in parti dell’ Asia, Pechino si propone come il provvidenziale realizzatore di tutte le opere necessarie per colmare il gap viario, energetico, tecnologico che attanaglia molti Paesi dell’area. Ogni spirito filantropico è ovviamente del tutto assente: di fatto si tratta dell’acquisizione del destino politico-economico di questi Stati, il cui pulsante on/off si troverà permanentemente in mani cinesi. Una moderna e più sofisticata riproposizione del vecchio imperialismo, con pochissime chance di fuoriuscita in caso di ravvedimento postumo. Peraltro, che anche all’interno dei BRICS si stia palesando la prova inconfutabile di leadership da parte di Xi Jinping appare sempre più una certezza e le dichiarazioni ufficiali ne certificano appieno la portata.
“La crisi ucraina è un campanello d’allarme per il mondo”, dice infatti il Presidente cinese. “La fiducia cieca in una posizione di forza, l’allargamento delle alleanze militari e il perseguimento della propria sicurezza a scapito della sicurezza di altri Paesi portano inevitabilmente a uno stallo”.
In questa visione di realtà capovolta, tutto l’Occidente, USA e Nato in primis, sarebbero i principali responsabili del conflitto. Queste parole non sono solo un atto formale di solidarietà ad un importante partner commerciale in difficoltà ma sono pronunciate soprattutto tenendo fissa la mente e lo sguardo alla situazione del Pacifico centro – meridionale. Giappone, Australia, Corea del Sud e soprattutto Taiwan per motivi differenti rappresentano una minaccia ed è bene che ne siano sempre consapevoli e valutino con molta cautela le possibili conseguenze delle loro mosse sulla scacchiera internazionale. Che Pechino, forte della sua leadership fra i BRICS punti a allargare la sua sfera di influenza anche ad altre Nazioni non è un mistero.
A parte alcuni territori asiatici ed africani già sino – dipendenti, altri Stati da tempo sono nel suo mirino. Penso ad Egitto, Nigeria ma anche alla Indonesia e ai più importanti Paesi della penisola arabica. Queste alleanze sono proposte in nome di una presunta e comune sensibilità contro lo strapotere economico, politico e culturale dell’Occidente.
Che poi questo disegno possa riuscire è tutt’altro discorso, ma probabilmente lo scenario delle sfide globali nel prossimo futuro si giocherà su questo terreno. E le democrazie occidentali dovranno esserne consapevoli ed attrezzarsi per non soccombere.