Anche le notizie più inverosimili e contraddittorie fanno ormai parte della quotidianità. E la proliferazione della comunicazione via social non è estranea alla loro moltiplicazione

Di: Andrea Panziera

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Ammesso e non concesso che esista un limite d’età per provare stupore o incredulità, questo limite penso di averlo superato da un pezzo. Anche le notizie più inverosimili, più inaccettabili, più contraddittorie, fanno ormai parte della quotidianità e la proliferazione della comunicazione via social con buona probabilità non è estranea alla loro moltiplicazione.

Quelli che in teoria sarebbero strumenti di democrazia informativa rischiano di diventare (ed in parte lo sono già) dei veicoli di diffusione di mefitiche pattumiere divulgative, che avvelenano le relazioni sociali, propongono scorciatoie ascientifiche, propinano falsi clamorosi facendo affidamento sulla sempre più diffusa creduloneria popolare. Di più, in molti casi sono diventati veri e propri megafoni di risentimento e odio, con una deriva che spesso si rivela inarrestabile.

Che alla base ci sia del metodo, chiari disegni eversivi e burattinai neanche tanto occulti è cosa che solo gli ingenui o le persone in malafede possono disconoscere, ma un sistema democratico si definisce tale proprio perché nel suo DNA ha (o dovrebbe avere) gli anticorpi per sconfiggere queste derive estremiste. Ma questi anticorpi necessitano di essere costantemente nutriti, affinché non cessi la loro efficacia. Il cibo è quello del rispetto delle regole che stanno alla base del contratto sociale, garantito da una Autorità statale credibile che sovraintenda in termini imparziali, ma senza tentennamenti, a questo compito.

Nella realtà, la violazione delle regole di civile convivenza e di rispetto della dignità e dei diritti altrui trova sempre più spesso riscontri oggettivi e quel che inquieta maggiormente è la diffusione di una sequela di comportamenti riprovevoli o finanche criminali in fasce non marginali di giovani e adolescenti. I famigerati “like” che imperversano sui canali social, indirizzati a quei delinquenti che commettono stupri o violenze di ogni genere verso i coetanei, che ammazzano i genitori per impossessarsi della loro eredità o i video di percosse e umiliazioni postati come vanto per infliggere ulteriore sofferenza a chi le ha subite, costituiscono ahimè l’inequivocabile segnale che il rischio di una disgregazione dei valori etici primari della nostra società si fa sempre più concreto.

Mi chiedo quanto senso abbia continuare a veicolare monocordemente le solite spiegazioni socio–economiche, tipo le periferie che alimenterebbero la cultura del disagio e dell’alienazione ovvero le inevitabili conseguenze rivenienti dalla problematica integrazione dei c.d. “nuovi italiani”, i figli di immigrati nati nel nostro Paese. E, parimenti, fatico a comprendere e non condivido le tesi di coloro che, in forza di queste argomentazioni che sanno di implicito giustificazionismo, invocano una qualche forma di indulgenza verso i rei.

Queste analisi paiono viziate in primo luogo dai numeri ed anche dalla miopia riguardo ai contesti, in quanto sempre più spesso i ragazzi e le ragazze coinvolti, in molti casi non provengono affatto da ambienti particolarmente degradati, ma fanno parte di famiglie che un tempo si sarebbero definite medio – borghesi.

Probabilmente apparirò alquanto demodé, ma riscoprire e trasmettere l’importanza di concetti come merito, responsabilità, disposizione al sacrificio, solidarietà e dovere di umana compassione e collaborazione verso chi si trova in una situazione di difficoltà, dovrebbe essere il primo compito da perseguire nel percorso scolastico e formativo. Sbaglierò, ma a mio avviso potrebbe contribuire in modo decisivo a rimuovere questa sgradevole percezione di degrado morale progressivo.