Una domanda tormenta tutti i player del nostro sistema economico: ci stiamo avviando verso una brusca interruzione della ripresa post Covid?

Di: Andrea Panziera

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Una domanda sta tormentando da qualche giorno tutti i player del nostro sistema economico: ci stiamo inesorabilmente avviando verso una brusca interruzione della ripresa post Covid, con prospettive incerte anche per il 2023?

In tutta evidenza, l’evento bellico in corso ha scompaginato tutte le carte sul tavolo ed il suo incerto orizzonte temporale, a prescindere da ogni altra considerazione, non consente di fare previsioni attendibili sul futuro della congiuntura internazionale e, conseguentemente, anche sull’andamento della crescita in Italia.

Secondo il Centro Studi della Confindustria, nel primo semestre del corrente anno si potrebbe configurare uno scenario di recessione tecnica, con un seppur parziale miglioramento nella seconda parte del 2022, comunque non sufficiente a superare il 2% di PIL.

Possibile? Probabile? Troppo presto per affermarlo con certezza, ma le premesse ci sono tutte, soprattutto se la guerra durerà ancora mesi.

In realtà, la domanda corretta che ci si deve porre è un’altra: cosa può accadere quando una pluralità eterogenea di sistemi economici viene contemporaneamente colpita da un forte e repentino aumento dei prezzi? La risposta a questo quesito passa preliminarmente dalla definizione della tipologia di inflazione, cioè se è provocata da un eccesso di domanda o da una rapida e incontrollabile impennata dei costi, cioè proviene dal lato dell’ offerta.

Quello che sta capitando in questi mesi trova la sua scaturigine nella impennata del valore delle materie prime, iniziata già nel periodo della fase finale della pandemia a motivo di strozzature nella supply chain, e culminata con l’invasione russa dell’Ucraina.

Il consensus della maggior parte degli analisti prevede che l’iperinflazione non calerà in termini significativi prima di 2-3 anni ed il suo livello “fuori norma” per molti versi sarà la molla che spingerà alla riconsiderazione dei modelli produttivi che si sono affermati negli ultimi decenni.

Queste previsioni trovano conferma nell’andamento di molti indicatori di mercato che in passato hanno segnalato una imminente contrazione economica. Peraltro, che la combinazione in sequenza di pandemia, inflazione e guerra potesse portare ad una recessione su vasta scala era nell’ordine delle cose.

In questo caso cosa dobbiamo attenderci nei prossimi mesi? I consumatori italiani, più di quelli di molti altri Paesi dell’Unione europea, subiranno una erosione non marginale del loro potere d’acquisto, mentre per quanto concerne il sistema industriale, quello tedesco avrà contraccolpi molto significativi, non solo per i motivi connessi ai costi degli approvvigionamenti delle fonti energetiche.

Finirà la globalizzazione? Ritengo abbastanza probabile che, nella forma in cui l’abbiamo sinora conosciuta, cesserà di essere il tratto caratteristico dei nostri sistemi economici. Ciò non significa il ritorno a forme più o meno accentuate di autarchia, ma sicuramente la supply chain dovrà essere accorciata e questo, assieme ad una transizione energetica che subirà necessariamente una accelerazione, ha un costo di cui tutti dobbiamo essere consapevoli.

E’ impensabile ipotizzare, come chiedono a più voci i partiti politici, di ricorrere a consistenti extra-deficit di bilancio per finanziare questi incrementi di costi; i Mercati non ce lo perdonerebbero ed i nostri Titoli del Debito Pubblico verrebbero immediatamente presi di mira.

E’ giunto il momento di parlare il linguaggio della verità, perché seppur indirettamente, le conseguenze economiche della guerra (e si spera solo quelle) sono già arrivate e dobbiamo farcene una ragione. E se fossero necessari dei sacrifici, il peso deve essere commisurato in proporzione alle reali capacità contributive dei cittadini.