La surreale giornata di mercoledì 21 luglio segna lo sprofondo del nostro sistema politico in una deriva che può condurre ad approdi incerti

Di: Andrea Panziera

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La surreale giornata di mercoledì 21 luglio segna uno spartiacque fra la permanenza del nostro sistema politico in un alveo di credibilità internazionale all’interno di un quadro di alleanze consolidato da oltre 70 anni, ovvero il suo sprofondo in una deriva che può condurre ad approdi alquanto pericolosi e ricchi di incognite. Ho la netta e sgradevole sensazione che ci si stia avviando in modo disordinato verso la seconda ipotesi.

Di più, si stagliano all’orizzonte oscuri cascami di un passato che si credeva sepolto nella parte meno commendevole della nostra memoria storica. Il dibattito parlamentare al Senato ha infatti evidenziato la ricomparsa di pulsioni politiche e conseguenti azioni che si configurano come una riproposizione riveduta e scorretta di modelli socio – economici che rimandano in modo piuttosto evidente al sistema delle Camere dei fasci e delle corporazioni.

Quello che è unanimemente riconosciuto come il motore di ogni sistema economico basato sul libero mercato, ovverosia la concorrenza, comunque regolamentata per evitare eccessi e arbitrarie esclusioni, diventa quasi un nemico da combattere per ingraziarsi questa o quella clientela elettorale. Con tanto di non cordiali saluti alle legittime richieste, di utenti e consumatori, di prezzi equi commisurati alla qualità dei beni e servizi offerti.

Mentre scrivo, l’approdo appena annunciato della crisi prevede lo svolgimento delle prossime elezioni nell’ultima domenica di settembre, con l’attuale Esecutivo che rimarrà in carica per il disbrigo degli affari correnti, che in questa occasione paiono alquanto ponderosi. Si tratta della riproposizione di fine Legislatura analoga quella del 1994. Ovviamente questa decisione, come da dettato costituzionale, fa parte delle prerogative del Presidente della Repubblica. Il quale, detto per inciso, si trova per le mani una patata bollente ad elevato impatto ustionante sul destino del Paese.

Non vorrei essere nei panni di Sergio Mattarella, che probabilmente sta maledicendo il momento in cui ha accettato il conferimento del secondo mandato. Peraltro, alla luce di quanto accaduto in queste ore nelle aule parlamentari, non mi pare che fossero ipotizzabili decisioni differenti da quella appena assunta. Non è mia abitudine, né quella del giornale con cui da molti anni collaboro, attribuire voti a questo o quel politico o patenti di serietà a questo o quel partito.

Tuttavia in una siffatta occasione mi risulta oltremodo difficile astenermi dall’evidenziare l’alto tasso di irresponsabilità di gran parte dei nostri rappresentanti in Parlamento. Demenziale è in primo luogo la scelta del periodo per scatenare una crisi di Governo, che fra sei mesi avrebbe concluso naturalmente il suo mandato . Nel pieno di un conflitto a qualche migliaio di chilometri da noi dalle conseguenze allo stato imprevedibili e che seppur indirettamente ci vede coinvolti, con una pandemia che non demorde e in vista di una Sessione di Bilancio che si annuncia piuttosto impegnativa (eufemismo) , di tutto avevamo bisogno fuorché di due mesi di torrida campagna elettorale sotto gli ombrelloni. Ma tant’è

Come da indegna prassi, la comunicazione partitica si è nel frattempo scatenata attribuendo senza tema di vergogna a Mario Draghi la farlocca responsabilità di quanto accaduto. “ Non ha voluto tener conto della nostra agenda politica, ci ha umiliati, era stanco ed aveva già deciso di mollare”. Queste alcune delle affermazioni che stanno inondando tutti i canali massmediatici. E’ vero, probabilmente in modo del tutto razionale e consapevole l’ex Presidente della BCE ha sfidato il sistema partitico, ignorando le numerose bandierine che gli veniva chiesto di sventolare, dettando al contrario i punti programmatici non negoziabili dell’ultimo scorcio di legislatura. Questa, fuor di ogni dubbio, è la sua colpa. Prova ne è il Decreto Aiuti bis, che nei prossimi giorni verrà riproposto alle Camere. Ogni richiesta può essere presa in considerazione e valutata, alla condizione preliminare che non provochi degli sconquassi nel Bilancio Pubblico.

Se qualcuno, per qualche punto percentuale in più di consenso, avanza proposte che oggettivamente vanno in questa direzione, ebbene, Mario Draghi non è l’uomo che si presta a compromessi mercantili ad elevata sismicità contabile pur di restare in sella. Il suo discorso di commiato ricalca esattamente questo spirito e questo schema mentale, una sorta di vaffa garbato, declamato con la calma determinazione di chi sa di interpretare i più autentici interessi dell’Italia.

Ammesso e non concesso che la pancia del Paese sia disposta ad essere condotta per mano attraverso il lungo percorso delle Riforme, che sono necessarie per uscire da una situazione di stallo che dura da più di un ventennio. Non San Mario Draghi, come ironicamente (e alquanto scioccamente) lo hanno soprannominato i suoi detrattori; semplicemente un uomo delle Istituzioni ed una persona perbene, uno dei massimi esperti mondiali di questioni economiche, prestato alla politica per colmarne il deficit di affidabilità che è sempre più palese.

Decida allora il popolo sovrano il suo destino e accetti le conseguenze delle sue scelte senza cercare alibi o scaricare le colpe dei probabili disastri sull’ Europa cinica e matrigna. La responsabilità sarà solo nostra, così come gli inevitabili oneri di cui dovremo farci carico per gli errori commessi.