Da settimane si è accesa un’aspra disputa sul concetto di Merito. Causa scatenante è la recente ridenominazione del Ministero dell’Istruzione

Di: Andrea Panziera

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L’ Articolo 34 della nostra Costituzione testualmente recita:

La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Sul dettato di questo articolo (e sulla sua interpretazione autentica) da settimane si è accesa un’aspra disputa che ha come terreno di scontro il concetto di Merito ( la maiuscola è una mia libera determinazione volta ad accentuarne l’intrinseco valore). Causa scatenante è la recente ridenominazione del Ministero dell’Istruzione, che è stato per l’appunto ribattezzato Ministero dell’Istruzione e del Merito. Un attento esame relativamente alla lettera del testo induce a proporre una prima considerazione. Si può sicuramente parlare di Diritto allo Studio sancito dalla Carta costituzionale, ma nel contempo per certi versi questo diritto si trasforma anche in un dovere, perlomeno per gli otto anni (ora dieci) di istruzione obbligatoria. Come osservato da autorevoli esperti della materia, esso si configurerebbe come una naturale prosecuzione del precedente art. 4, nel quale si legge:

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Non sfuggirà ai lettori che il binomio “Diritti e Doveri” costituisce un tutt’uno inscindibile: lo Stato riconosce questi tuoi diritti e si impegna a garantirne l’esercizio fornendoti le conseguenti opportunità e possibilità materiali ma tu cittadino, a fronte di questa disponibilità, sei tenuto a darne concreta attuazione. Nella realtà, nonostante sia previsto l’obbligo dell’istruzione stabilito per legge, non esiste nei fatti una norma coercitiva contro i genitori di figli minorenni non frequentanti, se non limitatamente alla scuola elementare, nel qual caso l’abbandono si configura come un reato. Tutto ciò doverosamente premesso, in alcune prese di posizione di queste settimane, non di rado con interventi di intellettuali sicuramente autorevoli, sono emerse critiche feroci riguardo l’abbinamento della parola Merito con quella di Istruzione, sfociate in una vera e propria crociata contro questa “forzosa” equiparazione. Secondo costoro, si verrebbe a palesare una sorta di pernicioso antagonismo fra una scuola dei migliori ed il diritto all’inclusione, con la prima che finirebbe quasi inevitabilmente per conculcare di fatto le prerogative della seconda, fagocitandone la realizzabilità . L’assunto nella sostanza è il seguente: “se non si creano effettive condizioni paritarie di partenza non ha alcun senso parlare di merito perché il vantaggio di chi si trova in una situazione di privilegio non consente una valutazione oggettivamente equa delle capacità dei singoli”. A mio avviso, questo assunto del criterio della meritocrazia usato come passaporto per sdoganare e cristallizzare lo stato di disuguaglianza scolastica e poi, di conseguenza, sociale assume i contorni di una forzatura ideologica, anche perché lo stesso articolo 34 della Costituzione, se correttamente applicato implementandone le risorse, ne limita eventuali recondite implicazioni o intenzioni. Gli studenti dotati di talento vengono riconosciuti come tali a prescindere dal loro ceto sociale e vanno economicamente sostenuti perché è nell’interesse dello Stato farlo. Mi chiedo peraltro se rientri nel novero delle realtà possibili la creazione di condizioni iniziali del tutto paritarie, ovvero se l’utopica aspirazione a questa società ideale non rischi di tralasciare il perseguimento di azioni concrete che riducano in modo effettivo il divario di partenza. Sarebbe interessante, a tale proposito, dopo tutte le voci contrapposte levatesi sul tema, ascoltare quella degli studenti, parte indirettamente in causa nella diatriba ma al momento quasi del tutto non coinvolta nell’ampio tour di interviste ed esternazioni. Probabilmente, a proposito di meriti o demeriti, avrebbero magari qualcosa da dire sulla percepita qualità dell’insegnamento e sul grado di interesse da questo suscitato. Azzardo una previsione. Forse un discorso franco, semplice e realista, possibilmente a partire dal contesto familiare, sul valore del merito come scaturigine naturale dello spirito di sacrificio individuale e sulla imprescindibilità della sua neutrale applicazione come metodo per rendere etico ed efficace l’ascensore sociale, sarebbe più utile e condiviso di tanti ragionamenti ammantati di sterile ideologia o, al contrario, basati su recondite intenzioni di mera conservazione dello status quo. Confesso di averci recentemente provato e le risposte ottenute mi sono sembrate tutt’altro che banali ed in ogni caso meritevoli di attenzione e riflessione.