Il mondo sta parlando di uno schiaffo. Uno schiaffo rumoroso, reo di oscurare un focus ben più importante: una pessima ironia

Di: Simone Massenz

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Il mondo sta parlando di uno schiaffo. Ma non sono certo io a dovertelo ricordare, vero? Del resto, se hai aperto questo articolo, se stai leggendo queste parole, è probabile che tu abbia già compreso il riferimento.

Nella notte degli Oscar, il noto attore Will Smith, in risposta alla forte ironia di Chris Rock nei confronti della capigliatura della moglie – affetta da alopecia – è salito sul palco e ha sferrato un manrovescio al comico.

Una reazione esagerata? Una reazione giusta? Non sta a me giudicare. Non sono qui per questo. Il presente articolo, seppur breve, intende piuttosto sfruttare l’occasione per analizzare un fenomeno mediatico estremamente interessante, quello del rumore, divenuto negli ultimi tempi sempre più patologico.

Lo smack di una sberla come focus-shift

Nella Teoria dell’Informazione, con “rumore” ci si riferisce a tutto ciò che compromette l’efficacia della comunicazione. Si tratta essenzialmente di un’interferenza di tipo tecnico, di un ostacolo interposto tra emittente e destinatario.

Nondimeno, in altri ambiti – come la Pragmatica e la Semiotica – esso assume un valore metaforico: indica, cioè, qualsiasi disturbo possa interferire con l’efficacia del messaggio e la sua comprensione.

Perché il metaforico smack della sberla si configurerebbe come rumore? È piuttosto semplice: tutti parlano dello schiaffo, nessuno parla dell’infelice battuta del comico.

In tal caso, il manrovescio funge da focus-shift, da “traslatore di focalizzazione”. Il focus mediatico principale, qualora Will Smith se ne fosse semplicemente andato, magari imbronciato, avrebbe potuto essere l’ironia su una malattia autoimmune. Mentre ora si parla soltanto dello schiaffo.

Spezzare una lancia

È una delle più importanti lezioni di comunicazione che tu possa ricavare: il rumore ti impedisce di vedere, sentire, capire – e, per estensione, ti permette di oscurare, assordare, nascondere. Come citato nel mio ultimo libro, Politica e nuovi media, il concetto era stato ben compreso già dal semiologo Umberto Eco:

“Io sono sempre stato del parere che, se per caso sapessi che domani i giornali parlassero di un mio misfatto che mi porterebbe nocumento gravissimo, la prima cosa che farei sarebbe di andare a depositare una bomba vicino alla questura o alla stazione. Il giorno dopo le prime pagine dei giornali sarebbero occupate da quell’evento e il mio scandaletto personale sarebbe finito nella cronaca nelle pagine interne. […] L’esempio della bomba è fonicamente appropriato, perché è proprio l’esempio di un grande rumore che riduce al silenzio tutto il resto”.

– U. Eco, Per una semiotica del silenzio, in F. Montanari (a cura di), Politica 2.0. Nuove tecnologie e nuove forme di comunicazione, Roma, Carocci, 2010, pp. 18-19.

D’altra parte, mi trovo costretto a spezzare una lancia comunicativa a favore dello schiaffo. Metaforicamente, sia chiaro, non letteralmente! Perché, forse, proprio quel gesto ha permesso di notare lo squallore di una battuta che, altrimenti, sarebbe passata inosservata.

Non resta che aspettare e sperare che il pubblico si focalizzi su ciò che merita attenzione.