L’ultimo soldato USA ha lasciato Kabul, così come avevano fatto nei giorni scorsi tutti i militari del contingente occidentale
Di: Andrea Panziera
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E’ finita. L’ultimo soldato USA ha lasciato Kabul così come avevano fatto nei giorni scorsi tutti i militari del contingente occidentale. Nel corso di una conferenza stampa di qualche ora fa il Presidente Biden ha asserito che l’evacuazione sia stata un successo. Pietosa bugia, contraddetta dalle immagini di quanto accaduto all’aeroporto dopo un attacco kamikaze dell’Isis, che ha provocato una decina di morti fra i militari americani e un numero imprecisato ma molto superiore fra i civili afghani. Ancora più stridente è la disperazione in mondovisione delle migliaia di reietti ormai abbandonati al loro destino. Ad onor del vero l’attuale inquilino della Casa Bianca si è trovato fra le mani una patata bollente lasciatagli in eredità dal suo predecessore, il quale aveva concordato con i talebani il disimpegno americano senza alcuna contropartita o accordo sui tempi, ammesso e non concesso che con loro fosse possibile ottenerne una. Ciononostante, parlare di successo suona come un insulto all’intelligenza delle persone di fronte alla folla di disgraziati ormai privi di ogni speranza che si accalcano ancora nei pressi dello scalo o alle frontiere degli Stati confinanti. I quali, non c’è da dubitarne, chiederanno un prezzo altissimo, politico e pecuniario, per la cattiva coscienza di coloro che hanno illuso milioni di individui con un simulacro di libertà, abbandonandoli poi al loro infausto destino. Non è necessario essere profeti per prevedere quello che succederà d’ora in avanti. Una immagine trasmessa poco fa dalle emittenti di tutto il mondo è più eloquente di qualsiasi parola: un giornalista di Tele Kabul, in giacca camicia e cravatta fuori ordinanza chiaramente dissimulatrici, circondato da una decina di miliziani in abiti tradizionali, armati fino ai denti e sogghignanti, con lo sguardo paretico dalla paura cerca di fornire rassicurazioni agli ascoltatori sulla “normale” continuità nella trasmissione delle informazioni. La credibilità di quelle affermazioni fa il paio con le promesse dei rispetto del ruolo sociale parzialmente acquisito dalle donne negli ultimi 20 anni, del loro diritto all’istruzione ed al lavoro, del mantenimento delle libertà fondamentali per tutti i cittadini senza distinzione alcuna. L’ Afghanistan è ripiombato ad ogni evidenza in un buco nero economico e civile che possiamo sì definire Medioevo, ma senza il men che minimo barlume di un possibile futuro Rinascimento. Quasi certamente la sua sussistenza verrà come in passato garantita dalla produzione d’oppio, perché “primum vivere deinde philosophari”. Dopo essere stati gli artificieri di questo epocale disastro, che oltretutto è costato una montagna di miliardi a tutti gli Stati coinvolti e quindi ai loro contribuenti, ci scopriamo addirittura più insicuri di prima visto che gli esperti parlano di rischi concreti per nuovi attacchi terroristici. Per colmo di paradosso, in forza di questi infausti allarmi, c’è chi propone di risolvere la questione da un lato azzerando la disponibilità ad accogliere i profughi, dall’altro mettendo sul piatto della bilancia aiuti da erogare in loco. La riedizione del “aiutiamoli a casa loro, purché non vengano a romperci le scatole a casa nostra”. Nulla ovviamente si dice su quanti sarebbero i danari stanziati, per quali progetti concreti e a chi sarebbero dati i quattrini. Forse ai talebani per una gestione “efficiente e democratica”? Ipocrisia no limits ! Nel frattempo, Russia e soprattutto Cina hanno messo l’Afghanistan nel mirino del loro business ed incuranti del passato e di qualche “marginale” (sic!) divergenza ideologica e religiosa si sono dimostrati disponibili a dialogare con i vincitori. Il Paese è notoriamente ricchissimo di materie prime, tra cui rame, ferro ma soprattutto litio e terre rare, elementi questi ultimi assai preziosi per i più avanzati utilizzi nella moderna tecnologia. Il problema è che estrarli in un territorio praticamente privo di infrastrutture e senza alcun tipo di preparazione manifatturiera non appare impresa proprio agevole e di conseguenza non sarei molto ottimista sul buon esito di queste iniziative. E questo, purtroppo per il popolo afghano ma per nostra somma fortuna, potrebbe essere l’unica buona notizia nel mare magnum di quelle pessime.