In questi ultimi mesi, rispetto alla prima ondata, molte più persone sono state contagiate dal Covid-19. Ne abbiamo intervistate alcune
Di: Samuela Piccoli
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Se durante i mesi tra febbraio e maggio il Covid era un virus che aveva contratto “l’amico dell’amico”, questa volta le cose sono andate diversamente: ad esserne contagiati sono amici intimi o parenti prossimi. Nessuno sembra poter evitare pandemia, ma ognuno ha assunto atteggiamenti molto diversi per venire fuori da una situazione difficile. Difficile a livello fisico, ma anche a livello psicologico, considerando le due diverse ondate.
In merito, abbiamo voluto porre una serie di domande ad alcuni pazienti che hanno superato la malattia sia in marzo sia negli ultimi due mesi. Abbiamo chiesto loro come si siano sentiti fisicamente, se abbiano avuto paura e come abbiano vissuto la situazione a livello psicologico.
Il Covid-19 in marzo
Simone, 49 anni: “Mi sono ammalato in marzo. Ero devastato, avevo la febbre da nove giorni che oscillava dai 38.8 ai 40 gradi. Non riuscivo nemmeno a stare in piedi e avevo perso il senso del gusto, non sentivo più nessun sapore. Prima del ricovero, cominciavo anche a far fatica a respirare. Avevo la cosiddetta fame d’aria.
Allora, non avevo la percezione che fosse il Covid-19: per me era una brutta influenza e basta. Anche in ospedale negavo a me stesso di avere il virus e, quando me l’hanno detto, non ci credevo. Poi ho incassato la notizia e l’ho assimilata. Dopo 10 giorni, appunto, sono stato ricoverato, ma il ricordo dell’ospedale è un po’ ovattato. A parte le prime due notti, che sono state difficili, tanto da dover decidere se tenermi in reparto o portarmi in terapia intensiva, poi tutto è rientrato. Fortunatamente, non è stato necessario intubarmi.
Tornato a casa, ho fatto un mese di quarantena, una gran seccatura. Mi sentivo meglio, anche se durante l’estate ho avuto qualche strascico a livello psicologico: di notte soffrivo d’insonnia o, se riuscivo ad addormentarmi, spesso mi svegliavo nel pieno della notte con una sensazione di mancanza d’aria – che non era reale. In realtà, non avevo problemi di respirazione, ma qualcosa mi riportava indietro alle notti in ospedale, quando mi sentivo soffocare; per questo, dormivo con le finestre spalancate.
Non ho mai avuto paura, benché l’abbia preso in maniera più forte rispetto ad altri. Avevo una polmonite bilaterale acuta e metà dei polmoni collassati: erano allo stato di ‘vetro smerigliato’, ossia non erano più attivi. Per recuperare la normale funzionalità dei polmoni, ho dovuto attendere mesi. Ora posso dire di esserne fuori”.
Rabbia e paura
Tatiana, 38 anni: “Abbiamo contratto tutti il virus in famiglia: io, mio marito, mio figlio, mia mamma, i miei suoceri e anche i miei nonni. A parte qualche dolore muscolare, non sono stata male. Più che per noi, avevo paura per i nonni, visto l’età (90 anni) e le patologie pregresse. Temevo che non riuscissero a superare la malattia. Poi, invece, è stato ricoverato Franco, mio suocero, e la paura maggiore era che crollasse psicologicamente o, peggio, che non tornasse più a casa. La difficoltà più grande, durante i ricoveri, è ricevere notizie sui degenti. Mi rendevo conto che, ovviamente, in ospedale avevano tanti pazienti e non potevano dare continuamente informazioni a tutti. Ho provato anche molta rabbia. Nonostante abbia sempre seguito le regole e sia stata attenta a tutto, ho comunque contratto il virus“.
Il Covid-19 e la fede
Chiara, 59 anni: “L’esperienza del Covid-19 è stata molto traumatica. Ho sempre avuto paura della morte, fin da piccola; quindi, guardavo il virus con terrore. Quando il 2 dicembre ho cominciato ad avere i primi sintomi, ero preoccupatissima e sono andata subito a fare un tampone rapido. Quando, dopo 15 minuti, mi hanno chiamata per comunicarmi il responso di positività, mi sono sentita persa e sono scoppiata in lacrime.
È stato l’unico momento di smarrimento; poi, ho seguito tutte le indicazioni del medico. I giorni successivi mi è piombata addosso tutta la sintomatologia di cui avevo sentito parlare nelle varie trasmissioni televisive. Avevo fortissimi dolori muscolari mai provati prima, anche con febbre alta. Ero sempre in attesa che la situazione peggiorasse ulteriormente, di provare tutti quei sintomi che hai incamerato ascoltando i vari medici e virologi alla TV. Quindi, mi sono buttata nella preghiera e nella fede e questa mi ha aiutato tantissimo.
Ero da sola, isolata in una stanza per non contagiare mio marito, che era negativo. Guardavo la televisione, ma solo programmi leggeri: non volevo più sentire nulla e nessuno che mi facesse pensare al Covid-19. La notte era il momento più difficile: anche quando stavo male o mi sentivo svenire, non potevo chiamare mio marito, perché ero quasi più preoccupata che potesse ammalarsi lui. Avevo anche la preoccupazione dei miei genitori, che erano risultati positivi, ma continuavo a ripetermi: ‘Domani è un altro giorno’. Mi sentivo fortunata perché non avevo grandi problemi di respirazione, anche se non sono ancora in forma. Dopo 23 giorni, sia io che mia mamma e mio papà ci siamo negativizzati e, per me, è stata una grande gioia. Il Covid-19 mi ha cambiata: vedo la vita in maniera diversa e, se prima mi scaldavo anche per delle sciocchezze, adesso tendo a lasciar correre. Questo è stato il Natale più bello della mia vita“.
Il Covid-19 e la famiglia
Gianluca, 45 anni: “Nel momento in cui ho scoperto i sintomi influenzali, ossia febbre alta, sapendo che mia suocera era positiva, non ho avuto dubbi e sono andato a fare subito il tampone rapido. Lo abbiamo fatto sia io che mia moglie. Dopo 10 minuti, ci hanno chiamati per comunicarci che eravamo positivi.
La prima reazione è stata di ‘stizza’: nonostante tutte le precauzioni prese in quei mesi, lo avevamo contratto ugualmente. Nessuno è immune al Covid, ma, tutto sommato, l’ho presa bene. Nel periodo della quarantena, a parte sintomi lievi, come tosse e raffreddore, non ho avuto altro. Sono stato con la mia famiglia, visto che eravamo tutti positivi e, se posso essere sincero, è stato bello. Abbiamo condiviso piccole cose: dal guardare un film al fare un gioco in scatola.
La vita è sempre frenetica e questo stop forzato mi ha concesso il tempo per riflettere sulle cose importanti, che, per quanto mi riguarda, sono la famiglia e i figli. Ad essere sincero, avevo anche paura, perché ne senti talmente tante guardando sia la tv che Facebook, ma sono credente e mi sono affidato alla fede. È un discorso mondiale, ormai, e anche tutta la mia famiglia ne è stata colpita.
Mio papà è quello che è stato peggio, tanto da aver bisogno di essere ricoverato. Lavoro con lui da anni e l’ho sempre visto energico, forte e con la battuta pronta. Sapere che era in ospedale in gravi condizioni mi ha fatto pensare. È stata un’esperienza che mi ha insegnato moltissimo e voglio sperare che anche nel Mondo abbiano imparato quanto importanti siano la vita e il rapporto con gli altri”.
Il Covid-19 e il senso civico
Michela, 47 anni: “Quando abbiamo scoperto di essere positivi, avevo già saputo nei giorni precedenti che anche i miei genitori e mia sorella lo erano. Fino a quel momento, l’ho sempre vissuta come un problema degli altri, senza mai immaginare che potesse capitare a me.
Giovanni ed io abbiamo sempre pensato di essere giovani e forti, o almeno così ci consideriamo (ride, ndr.), e l’abbiamo sempre vista come un’influenza un po’ più forte delle altre. Non stiamo stati bene, ma ci stiamo riprendendo. Ciò che più mi ha colpito è stato il fatto che ad essere contagiato sia qualcuno che non ti saresti mai aspettato, ossia qualcuno della tua famiglia. E il momento peggiore è stato quando il medico ci ha comunicato la criticità delle condizioni di mia mamma.
Se tutti rispettassero le norme, forse ci sarebbero meno possibilità di contagio. I miei tre bambini, pur essendo positivi, non hanno avuto sintomi, ma ovviamente li ho tenuti a casa. Sfortunatamente, non tutti la pensano come me: conosco persone che hanno mandato a scuola i figli pur essendo stati a contato con persone contagiate, senza dir nulla a nessuno. Poi, questi bimbi giocano con i loro amici e così il virus si diffonde, arrivando a colpire i nonni, ignari di tutto.
È proprio vero, infatti, che la maggior parte dei bambini è asintomatica. Questo è quello che è successo a mia mamma; io, invece, li ho tenuti in isolamento 10 giorni prima ancora di sapere che fossero positivi, perché erano stati a trovare i miei genitori.
Bisognerebbe avere un po’ di coscienza, rimanere in quarantena per 10 giorni e, poi, farsi il tampone. L’ho provato sulla mia pelle, è terribile sentirsi dire da un medico: ‘Vediamo come va…’. Soprattutto se quel ‘come va’ riguarda un genitore. Ci sentiamo infallibili, ma questo virus può colpire tutti: bisogna avere senso civico e proteggere gli altri”.
Riflessioni…
Come abbiamo potuto constatare, il Covid-19 non guarda in faccia a nessuno. A volte fa prigionieri, a volte no. Ciò che bisogna imparare è avere un po’ più di rispetto per gli altri, perché oggi tocca a me, ma domani potrebbe toccare a te.