In questo Lampi News ci occupiamo di uno pseudo-virus, endemico, molto diffuso e spesso invalidante: la pirlite
Di: Andrea Panziera
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Si tranquillizzino i lettori, non ho alcuna intenzione di esprimere l’ennesima opinione sul Covid, sulle sue subdole varianti e sulle modalità più adeguate per farvi fronte. Virologi, infettivologi, farmacologi e clinici sono da due anni sul pezzo ed esiste ampia produzione letteraria e mediatica sull’argomento.
Molto più modestamente io vorrei occuparmi di uno pseudo – virus con caratteristiche assai meno complesse da un punto di vista scientifico, molto diffuso nel nostro Paese, endemico in quanto l’ipotesi di debellarlo o quantomeno contenerlo dimora nella famosa isola chiamata Utopia.
Ahimè, esso rappresenta un vulnus spesso invalidante sulla strada verso la normalità, in tutte le possibili accezioni del termine. Ne sono affetti un buon numero di nostri concittadini di ogni classe sociale o categoria professionale, nessuna esclusa, e allo stato attuale non risulta che la ricerca, peraltro finanziata con pochissime risorse in questo specifico contesto, abbia fatto significativi passi avanti riguardo alla creazione di una adeguata terapia.
Questo pseudo – virus si chiama “pirlite” e provoca nei soggetti che ne sono colpiti comportamenti irrazionali, spesso del tutto fuori controllo, a volte criminosi o contrari a quello che i dotti chiamano Bene Comune, in altre occasioni schizofrenici o autolesionistici. Gli esempi dei suoi effetti deleteri, pericolosi per le persone e le cose, contrari al pubblico interesse e spesso anche a quello privato, costituiscono da sempre il nutrimento delle cronache quotidiane.
In queste ultime settimane, soprattutto nel centro dell’Urbe ed in alcune zone limitrofe, si sono sviluppate due varianti particolarmente contagiose. La prima, identificata dagli esperti come “ignis pirlomània”, scatena nei soggetti colpiti pulsioni incendiarie, mentre la seconda, c.d. “cupio dissolvi partitica”, pare circoscritta agli abituali frequentatori di alcuni palazzi nel centro della Capitale e provoca gravi conseguenze neurologiche che culminano in azioni inconsulte caratterizzate da accentuato spirito catartico. Non bastasse il ceppo autoctono, ne esistono anche alcuni di importazione, che si propagano molto velocemente attraverso i moderni canali di comunicazione, noti a tutti noi come strumenti di interlocuzione social.
Due, in particolare, sono le varianti di recente ingresso nel nostro Paese. Una proveniente dalla parte orientale dell’Europa, da qualche mese circolante anche da noi, chiamata “pirlite putinia”, dal nome del primo caso accertato, un soggetto che a dispetto della statura poco più che bagonghiana è stato colpito dalla famosa “sindrome di Pietro il Grande”.
L’altra variante, diffusa solo qualche giorno fa e ribattezzata “ water more”, è stata veicolata dai promotori di un convegno negazionista delle crisi ambientali tenutosi da poco in Alaska. Al contrario di quanto possa sembrare, il suddetto simposio non si è occupato di siccità. In questo caso i maggiori indiziati della trasmissione virale sono due: una signora specializzata nella organizzazione di riunioni di degustazione del the ed un anziano giallo crinito, con l’hobby di sponsorizzare gite armate nei pressi di edifici pubblici di colore bianco. Business idea del convegno di cui sopra: boicottare in qualsiasi modo ogni intervento pubblico di contrasto ai cambiamenti climatici, perché l’aumento degli oceani trasformerà molte abitazioni anonime in splendide villette vista mare.
Urge, vista la pericolosità della “pirlite”, accelerare i tempi della ricerca per trovare terapie adeguate e risolutive che, a pensarci bene, potrebbero anche essere dei semplici soggiorni obbligatori di lavoro manuale presso aziende agricole; oppure, nei casi più gravi ed irrecuperabili, delle camicie di forza molto robuste con Bluetooth incorporato, in modo da consentire ai malati una comunicazione “peer to peer”.