Pare che una gran parte della nostra classe dirigente, quella politica in particolare, sia affetta dalla sindrome di Lampedusa
Di: Andrea Panziera
LEGGI ANCHE: Lampi News – Prove tecniche d’implosione
Forse sarà l’età, probabilmente il cumulo di esperienze vissute che mi hanno immunizzato dalla patologia delle illusioni a buon mercato; non escludo anche un certo sopravvenuto sospetto misto a scetticismo verso le preannunciate palingenesi politiche, sempre accompagnate da eccessivi squilli di trombe e fragore di grancasse. Ho come la sensazione che una gran parte della nostra classe dirigente, quella politica in particolare, sia affetta dalla sindrome di Lampedusa. Nessun riferimento all’isola, intesa come terminale dei flussi migratori del Mediterraneo, bensì all’insigne letterato, passato alla storia come l’autore del Gattopardo. “Dobbiamo cambiare tutto (o far credere di farlo), affinché non cambi nulla”. E, verosimilmente, una discreta fetta del popolo italiano, sotto sotto, non la pensa in maniera molto differente e si accoda alla logica rassegnata del “meno peggio”. Forse non è un caso se Francesco Guicciardini a distanza di 500 anni rimane un punto di riferimento, non dichiarato ma nei fatti chiaramente percepibile, di molti nostri sedicenti maitre a penser: “Franza o Spagna purché se magna” diceva il nostro. A leggere le cronache di questi giorni, si ha la netta impressione di parecchi deja vu, la cui veloce e imprevista concomitanza smonta sul nascere ogni tentativo, seppur assai velleitario, di rappresentarsi e vendersi ad una pubblica opinione distratta e sudaticcia, come la cesura con il passato ed il nuovo che avanza. Si parte dall’onorevole ministra dedita agli affari suoi, chiamata inopinatamente a reggere un dicastero in una situazione di palese e oggettivo conflitto di interessi, che afferma di non essersi mai occupata di società di cui per anni è stata una dei proprietari e nelle quali ha ricoperto le cariche apicali di responsabilità. Forse nelle riunioni del C.d.A. la davano presente anche se fisicamente non c’era; magari non ha mai letto i verbali che firmava. O, più probabilmente, di certo a sua insaputa, è stata colpita dalla ben nota patologia afflittiva delle scimmiette: “non sento, non vedo, non parlo”. In questo modo, penso, si spieghi che le affermazioni a sua discolpa siano smentite nelle giornate successive da atti e fatti praticamente impossibili da contestare. La “querelite” brandita come minaccia sembra più un’arma di distrazione di massa che una reale ed efficace strategia di difesa. Come poi non ricordare che i figli un po’ fuori controllo hanno spesso rappresentato un bel problema per i genitori molto impegnati nell’agone politico? Comprendo l’umano desiderio paterno di ritenerli innocenti fino a prova contraria, anche se loro a volte danno l’impressione (e non solo quella) di atteggiarsi a indiani ribelli in libera uscita. Ma, valutino i lettori, se non sia quantomeno strano che tali rampolli utilizzino abitualmente mezzi di comunicazione ad uso personale intestati alle attività private dei familiari investiti di incarichi istituzionali; insequestrabilità , con l’aggiunta del beneficio fiscale, chapeau! Ma siamo benevoli, limitiamoci a ricordare che la storia si ripete: basta rileggere le cronache passate della nostra Repubblica e di vicende simili, più o meno gravi delle precedenti, ne troviamo a decine. Così come gli annali che riportano i resoconti delle varie misure economiche, annunciate come rivoluzionarie, sono pieni di provvedimenti rivelatisi ben poca cosa, se non addirittura del tutto inutili. La tanto sbandierata Social Card, annunciata con gran ardore in questi giorni, ha tutta l’aria di essere uno di questi. Stanziamento irrisorio in relazione agli obiettivi dichiarati (500 milioni di euro complessivi, pari a 382,50 elargiti ad ogni nucleo beneficiario, per contrastare gli effetti del caro prezzi dei generi alimentari sulle fasce meno abbienti); criteri di assegnazione cervellotici (solo alle famiglie composte da minimo tre persone di cui un minorenne, con un ISEE inferiore a 15.000). I nuclei di due individui o i single, anche con un ISEE pari a zero o poco oltre, non percepiranno alcunché. Insomma, la povertà è come il film di Troisi, ricomincia da tre. Infine, anche su quello che in questi mesi è stato il quotidiano leit motiv dell’Esecutivo, “siamo i migliori in quanto all’aumento del PIL ed i più affidabili in Europa”, appare necessario spendere qualche parola. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le dinamiche economiche, conosce il c.d. “effetto trascinamento”. Ogni Governo entrante, eredita virtù e problemi di quello che l’ha preceduto. Il lascito del quasi biennio di Mario Draghi è stato, in termini di crescita già acquisita per il periodo successivo, molto positivo. Lo dicono i numeri ed invito chiunque ad andarli a rileggere. Bankitalia, nel suo ultimo report, segnala due evidenze: nel secondo trimestre 2023 il PIL si è quasi fermato e alcuni parametri sono peggiorati, soprattutto quelli del dato complessivo del Debito Pubblico e del rapporto deficit/PIL. Più o meno lo stesso alert è stato lanciato in un suo recente intervento da Paolo Savona, Presidente della CONSOB. C’è da allarmarsi: forse ancora no, ma a dispetto di quelli che vogliono far credere il contrario, oro ed ottone, pur avendo un identico colore, non hanno lo stesso valore. E senza l’agognato arrivo dei quattrini del PNRR, che a dispetto di tutte le rassicurazioni in proposito sono in palese ritardo, le rivendicazioni del primato in Europa diverranno “blowin’ in the wind”.