A leggere i commenti minimalisti di qualche quotidiano su questa folle, torrida e tempestosa estate, verrebbe da commentare “Tutto bene, madama la marchesa!”

Di: Andrea Panziera

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A leggere i commenti minimalisti, se non velatamente negazionisti, di qualche quotidiano su quanto sta accadendo in giro per l’Italia e nel resto del mondo in questa folle, torrida e tempestosa estate, verrebbe da commentare “Tutto bene, madama la marchesa!”. Per chi l’avesse dimenticato, ricordo che il testo di questa vecchia canzone francese racconta di una nobildonna che al telefono chiede informazioni al maggiordomo sulla situazione del suo castello e riceve paradossali rassicurazioni da quest’ultimo, che al contempo descrive una situazione catastrofica. Ovviamente, come sempre in questi casi, non si tratta di opinioni dal sen fuggite e veicolate attraverso la tastiera folle di qualche scribacchino spalleggiato dal suo editore; in realtà, esse rispecchiano un pensiero condiviso da eminenti esponenti delle Istituzioni, in Italia e in molti altri Paesi in ogni parte del mondo. Poco importa che sia sufficiente affacciarsi alla finestra per rendersi conto del progressivo impazzimento meteorologico. I pareri ed i riscontri oggettivi proposti dagli scienziati, che quasi all’unisono affermano che il 2023 si appresta ad essere l’anno più hot del nostro pianeta, vengono sbeffeggiati e derisi. Chi, da anni, ha messo nel suo mirino qualsiasi istanza che anche lontanamente odora di ambientalismo, non esita a parlare di “green come nuova pandemia”. Su questa parola d’ordine si sono mobilitati tutti i media che da sempre vedono come fumo negli occhi qualsiasi seria discussione sugli effetti dei cambiamenti climatici: giornali, social media etero diretti, conduttori televisivi asserviti, tutti uniti nei distinguo, nella divulgazione di tesi assai improbabili, supportate da numeri farlocchi o manipolati, pur di negare l’evidenza. Poco importa se il mondo economico nella sua totalità, dalle associazioni imprenditoriali alle organizzazioni sindacali, mette in guardia dai rischi, anche sociali, che la sottovalutazione dei problemi indotti dai mutamenti atmosferici e, di conseguenza, ambientali comporterebbe per la popolazione nel suo complesso e come reazione per la stessa classe dirigente. Allo stato attuale, la battaglia contro i c.d. “dogmi sul clima” appare di gran lunga quella prevalente, o perlomeno quella su cui qualcuno sembra aver puntato quasi tutte le sue fiches per rafforzare quella condivisione di valori che è sinonimo di identità politica. Michele Serra, da acuto osservatore quale sicuramente è, distingue in questa piuttosto folta schiera di nega – minimalisti due categorie di militanti: i truci, la cui cul-tura (la separazione sillabica non è un errore di stampa) affonda le radici nelle storiche correnti di pensiero antidemocratiche e populiste divenute, più di recente, cospirazioniste, i quali, come nota lui, hanno sostituito l’olio di ricino con gli editoriali; i c.d. fresconi, (termine gentile, che a Milano verrebbe tradotto con un grand, gros e ciula, piscinin e gandula, ovvero i fessacchiotti), che forti della loro reale o apparente ingenuità fanno tenerezza e magari inducono a una certa benevolenza . I primi, sempre meno coperti e sempre più baldanzosi, si atteggiano a eredi spirituali dei bei tempi che furono e sproloquiano su tutto lo scibile umano, rifuggendo peraltro da ogni approccio ai problemi che odori anche lontanamente di razionalità e metodo scientifico. I secondi sono i campioni indiscussi dei luoghi comuni assunti al rango di verità non contrastabili. Molti di loro sono in perfetta buona fede, per altri si tratta di una strategia spiazzante, rispetto alla quale ogni tentativo di confronto risulta depotenziato già in partenza. Come replicare ad un florilegio di generiche banalità del tipo “a luglio e agosto ha sempre fatto caldo”, oppure “le grandinate in estate ci sono sempre state” ? Basterebbe dare un’occhiata ai valori medi delle temperature o alla frequenza e intensità delle precipitazioni, nonché chiedere notizie sull’entità dei danni ai diretti interessati, per delineare un quadro oggettivo e veritiero della situazione attuale rispetto a quella degli anni e dei decenni precedenti. O ascoltare i reiterati allarmi che gli esperti lanciano da tempo. Tranquilli, tutto ciò non accadrà e dopo ogni nuova catastrofe i discorsi verranno deviati sulla necessità di realizzare opere fantasmagoriche, mentre quelle altamente necessarie per la messa in sicurezza del territorio o per uscire da contesti infrastrutturali da terzo mondo passeranno in coda lavori. Di una cosa però mi stupisco. Che questo esercito di liberi pensatori “green pandemici” non abbia ancora individuato, oltre alla condivisione di questi ed altri valori sul loro modello ideale di Società, anche un inno identitario, che per quanto possibile li raccolga e li espliciti tutti assieme. Mi permetto modestamente di suggerirne uno, che mi sembra calzi a pennello.
S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, manderei l’ en profondo;
s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,
ché tutti cristïani imbrigherei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente farìa da mi’ madre.
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui