La Federal Reserve è seriamente intenzionata a combattere l’inflazione, forse con un impegno maggiore di quanto gli investitori le attribuiscano
Di: Fabio Michettoni
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La Federal Reserve è seriamente intenzionata a combattere l’inflazione, forse con un impegno maggiore di quanto gli investitori le attribuiscano. E questo potrebbe voler significare nuove scomposte discese per l’indice S&P500.
Potrebbe sembrare difficile da credere, visto che la Fed è nota per essere scivolata sul primo segnale di sofferenza del mercato; tuttavia, la banca centrale americana non affronta un’inflazione così pervasiva da decenni.
Ci si aspettava che il tasso annuale si moderasse leggermente, ma l’8,6% di venerdì come dato di maggio ha invece mostrato il più grande aumento annuale dal dicembre 1981. In altre parole, non si vede nessun allentamento dell’inflazione.
La Fed, tuttavia, preferisce osservare un’altra misura dell’inflazione: l’indice dei prezzi della spesa per consumi personali (PCE), redatto nell’ambito del rapporto mensile sui redditi e le spese personali. Questo specifico valore è aumentato dello 0,24% in aprile, con un incremento del 6,3% su base annua. Escludendo i prezzi dei generi alimentari e dell’energia, l’indice PCE core è aumentato dello 0,34% ad aprile e del 4,9% rispetto a un anno prima. Il PCE è inferiore al CPI, ma è ancora troppo presto per trarre delle conclusioni e la prossima lettura, prevista per il 30 giugno, difficilmente darà un segnale di allentamento e probabilmente non lo farà per un po’. Il tasso mensile deve scendere a circa lo 0,17% per essere in linea con l’obiettivo della Fed del 2% di inflazione annua, che è la chiave del suo mandato, cioè di garantire la stabilità dei prezzi.
Questo obiettivo è ciò che conta di più per la Fed e per gli investitori. Sebbene non sia necessario che la Banca Centrale USA raggiunga subito l’obiettivo, è necessario comunque che cominci ad avvicinarsi a tale valore per poter ridurre la sua pressione sui tassi. A meno che non si verifichi qualcosa di drammaticamente negativo nel mercato del lavoro, la politica monetaria sarà orientata verso una stretta persistente e questo, i mercati, sembrano averlo capito, prevendendo un aumento dei FED FUNDS di mezzo punto per la riunione del 14 e 15 giugno, e poi un altro mezzo punto a luglio e settembre. Ciò che il mercato potrebbe sottovalutare, tuttavia, è quanto l’inflazione odierna sia fuori dal controllo della Fed, viste le numero criticità lasciate dalla pandemia e le impennate dei prezzi energetici a causa del conflitto russo/ucraino.
La Fed non può riequilibrare le tensioni dei prezzi sul lato dell’offerta, ma potrà usare gli strumenti a sua disposizione per colpire la domanda. Aumentando i tassi di interesse, ridurrà l’accessibilità al credito, ai prestiti personali e ai finanziamenti alle imprese, ai mutui per la casa. Gli spread creditizi potrebbero ampliarsi con l’aumento dei tassi di interesse di riferimento, rendendo più costoso per le aziende emettere debito per finanziare investimenti o altre spese.
Al netto di tutto ciò, l’inasprimento delle condizioni di prestito si tradurrà in una minore domanda da parte di aziende e privati. Se tutto andrà bene, si potrà ristabilire l’equilibrio dell’economia assorbendo i picchi inflattivi e tutto senza portare l’economia in una recessione, o almeno non in una recessione profonda.
Anche la leggenda metropolitana dell’atterraggio morbido per l’economia, non sarà necessariamente un “soft landing” per il mercato azionario, se la Fed farà la sua parte. L’aumento dei tassi di interesse e la stretta quantitativa hanno già pesato sul valore degli asset, dalle azioni e obbligazioni alle criptovalute e questa svalutazione è vista come un modo per ridurre i redditi e la spesa delle persone attraverso la contrazione della ricchezza.
Le persone potrebbero pensarci due volte prima di spendere se il loro portafoglio di investimenti è sceso del 25% negli ultimi sei mesi, come sta facendo l’indice Nasdaq e, più in generale, come la stessa FED si auspica, perché è proprio questo che vuole.
Il rischio più grande, però, è che la Fed esageri e stringa la domanda e le condizioni finanziarie a tal punto da spingere l’economia statunitense in una recessione. Questo potrebbe risolvere il problema dell’inflazione, ma crearne di nuovi. Tuttavia, è possibile che i funzionari stiano cercando, calibrandola, una recessione che valga la pena subire per far uscire l’economia americana dal pantano inflazionistico in cui si è infilata. Questo è particolarmente vero se la guerra in Ucraina dovesse intensificarsi, facendo aumentare ancora i prezzi di cibo, petrolio e altre materie prime, un rischio che probabilmente, almeno per ora, non riceve abbastanza attenzione.
Ma una recessione, per quanto contenuta, significherebbe un aumento della disoccupazione, una riduzione degli utili aziendali e un calo ancora più grave dei prezzi delle azioni.