Come il bufalismo digitale alimenta propaganda, revisionismo storico e narrazioni tossiche sul conflitto in Ucraina

Di: Andrea Panziera

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Uno spettro s’aggira per il mondo, pare impossibile contenerlo, men che meno silenziarlo: questo spettro si chiama bufalismo. Chiedo scusa per questo incipit ad Herr Karl, meno ai suoi spesso inverecondi discepoli, ma in tutta onestà penso sia difficile trovare qualcosa di più efficace.

Questo spirito subdolo, perverso e del tutto fuorviante, contagia intere fasce di popolazione e produce danni incalcolabili sulle capacità intellettive delle persone che ne vengono colpite, sul loro saper distinguere il vero dal falso, la realtà dalla manipolazione. Soprattutto i social media e le varie piattaforme video rappresentano i veicoli utilizzati per la maggiore diffusione della disinformazione. TikTok, X, Facebook, Truth e le altre app similari si palesano con sempre maggiore evidenza come fonti di notizie inventate, costruite a tavolino grazie ad algoritmi appositi, al solo scopo di fungere da camera di risonanza dei nostri dubbi, delle nostre incertezze, dei nostri pregiudizi e, ahimè, della nostra ignoranza.

Il risultato è che la tanto lodata comunicazione “peer to peer” si riduce in molti casi ad un dialogo “pirl to pirl”; ciò che leggiamo, ascoltiamo o vediamo è vero solo perché coincide con la nostra opinione, spesso non supportata da alcun riscontro o base fattuale. Il processo di informazione, che dovrebbe scaturire dal libero confronto, oggettivo ed obiettivo, fra fonti verificabili e arricchite dalla loro eterogeneità, viene ridotto ad una discarica virulenta i cui miasmi si diffondono con un preciso obiettivo: farci credere che ciò che viene veicolato corrisponde al vero soltanto perché è parte di un mainstream identitario, che ci alleggerisce dalla fatica della razionalità .

L’analisi della vasta complessità del contesto, quindi la necessità di un approfondimento, divengono di conseguenza un fardello da scaricare ed i social sono lo strumento nonché l’approdo perfetto in grado di agevolare questa deiezione. Tale processo implica inevitabili conseguenze, quali l’eccessiva semplificazione riguardo questioni per loro natura intricate, la forte dipendenza dai titoli sensazionalistici o la diffusione del senso di inutilità relativamente alla corretta formazione per una decente alfabetizzazione mediatica.

Inoltre, l’avvento e il massivo impiego dell’intelligenza artificiale complica ulteriormente la situazione, favorendo la creazione di video, audio e immagini completamente falsi ma estremamente realistici, per scoprire i quali servono tecniche avanzate e una preparazione specifica. A che pro questo lungo preambolo, si chiederanno molti lettori? Semplicemente allo scopo di dare una lettura motivata nel merito di alcuni accadimenti degli ultimi giorni e smascherare le opinioni di sedicenti giornalisti imparziali, pseudo esperti di geopolitica, mediocri leader partitici, leader internazionali di infima caratura.

Una settimana fa lo scarsi crinito nano zar moscovita ha appellato con il termine “maialini” i governanti dei principali Paesi europei, incolpandoli di essere il principale ostacolo alla pace con l’Ucraina. Non è ovviamente mancato il solito refrain sulle fantomatiche “ragioni profonde” come causa della guerra in corso. La narrazione veicolata da Putin, aldilà dell’insulto, ha come obiettivo evidente quello di mutare la trama reale degli ultimi quattro anni: non più aggressore, bensì presidente di una Nazione la quale si è dovuta difendere dall’invadenza della Nato e dei suoi Stati aderenti.

L’unico mezzo con cui poteva farlo era un attacco preventivo. A suo dire, l’Ucraina è una parte storicamente inscindibile del fu impero, un tempo zarista e poi sovietico; ergo, come Nazione autonoma può esistere solo se a governarla è un personaggio alla Lukashenko o giù di lì. Dove ciò non accade, leggi Cecenia o più recentemente Georgia, Mosca ha tutto il diritto di intervenire e rimettere il treno del potere nel binario giusto. L’inquilino del Cremlino omette volutamente di ricordare che col Memorandum di Budapest del 1994 il suo Paese si era impegnato, in presenza USA e UK come garanti, a rispettare indipendenza ed integrità territoriale dell’Ucraina, in cambio della riconsegna delle numerose testate nucleari presenti nel suo territorio.

Giusto per dovere di cronaca, è bene ricordare che all’epoca Kiev era la terza potenza nucleare mondiale in quanto a dotazione di armi di distruzione di massa. Tutti sanno come è andata a finire, a partire dall’occupazione della Crimea; la valenza dei Trattati internazionali sottoscritti da Mosca è prossima allo zero, a meno che non vengano reinterpretati dalle controparti pro domo sua. Ebbene, sembrerà paradossale, ma in Italia ed in molti Paesi occidentali, grazie ad una potente, capillare, costante ed efficace azione di “dezinformatsiya”, per dirla alla russa, di certo non ostacolata dall’avvento di Trump alla Casa Bianca, non poche persone, ad ogni livello, ritengono che le parole di Putin siano in tutto o in parte vere.

Qualche inutile idiota ha riproposto la trita teoria della “guerra per procura”, dove i mandanti sarebbero le democrazie europee. Non di rado, queste affermazioni, palesi o sottotraccia, sono condite dal palpabile fastidio per il prolungarsi di un conflitto che doveva terminare in poche settimane ed invece va avanti da quasi quattro anni. L’unico elemento di originalità è che queste posizioni pro – moscovite accomunano spezzoni di tutti gli schieramenti politici, dal neofascista dichiarato o malcelato, per arrivare al vetero stalinista o all’esponente di sinistra, o sedicente tale, in evidente stato di confusa contraddittorietà.

Tutti costoro guardano con indomita ammirazione all’uomo della provvidenza assiso a Washington, quello che si vanta di aver risolto una decina di conflitti, di aver raggiunto risultati economici mai visti prima nella storia americana, di aver eliminato la delinquenza, eccetera, eccetera, eccetera.

Questa messe di successi, veicolata senza soluzione di continuità via social o da media amici ”urbi et orbi”, cioè ai non udenti e non vedenti, presenta tuttavia un solo, piccolo vulnus: è smentita dai numeri, perché anche quelli in apparenza più favorevoli contengono un retrogusto un po’ amaro che li rende poco credibili, se non addirittura indigesti. Ma che importa? Come diceva uno che di propaganda se ne intendeva, “ripeti una bugia cento, mille volte, se necessario e diventerà una verità”. Per chi non lo sapesse o lo avesse dimenticato, il nome di questo signore era Goebbels.