Lo spunto per questa strana parola, Mopantonia, è sorto giovedì 13 in tarda serata, dopo essermi accomiatato dal prof. Monti

Di: Andrea Panziera

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Tranquillizzo i lettori: non ho alcuna intenzione di creare termini alieni, che sicuramente verrebbero bocciati dall’Accademia della Crusca e da qualsiasi altro consesso che si occupi del corretto uso della nostra lingua. Lo spunto per questa strana parola, che non esiste e credo mai vedrà la luce, mi è venuto giovedì 13 in tarda serata, dopo essermi accomiatato da una persona molto nota ed a me particolarmente cara. Mi riferisco al prof. Monti, che ho di nuovo incontrato vis a vis dopo 45 anni. Tutti sanno chi sia e quali incarichi istituzionali abbia ricoperto negli ultimi 30 anni, in Italia e soprattutto in Europa. Io l’ho sempre considerato una sorta di mentore culturale, non soltanto perché è stato mio docente di Economia all’Università Bocconi e correlatore della mia tesi di laurea. In lui ho sempre ammirato la chiarezza e pacatezza delle argomentazioni, il linguaggio misurato ma incisivo, permeato da una sottile e pungente ironia british, quasi sempre spiazzante; la valutazione critica ma al contempo equidistante degli atti della politica, mai influenzata dalle simpatie personali o dalla vicinanza ideale con questo o quello schieramento, che ognuno di noi naturalmente può nutrire. Nelle sue parole, sia a lezione che nelle cariche in seguito ricoperte, è sempre prevalsa la scelta mutuata dalla personale concezione del bene comune, che in realtà spesso non è un concetto astratto o individuale, ma la naturale scaturigine generata dai contesti e dai numeri oggettivi. Dopo l’Università, ci eravamo incrociati in vari Convegni, ma l’occasione per un seppur breve dialogo a quattr’occhi non si era mai più presentata; per quelle strane combinazioni che ci riserva il destino è capitata a meno di 5 km da casa mia, nello splendido resort prospiciente al Castello di Bevilacqua. L’evento è coinciso con la presentazione del suo ultimo libro, dal titolo all’apparenza criptico ma invero di facile lettura:” DEMAGONIA, dove porta la politica delle illusioni”. La locuzione, frutto della crasi di due termini, sintetizza come forse meglio non si potrebbe, la situazione di gran parte dei sistemi democratici occidentali, il nostro in primis, che (riporto le sue testuali parole) “sono entrati in una fase di crisi profonda, assimilabile ad un’agonia; ciò è la conseguenza di troppi anni di governi molli, che hanno inseguito il consenso immediato e facile, accantonando i problemi e rinviando le scelte impegnative. La demagonia non è irreversibile. Per arginarla e respingerla occorre una politica seria, fatta da politici responsabili, disposti anche a perdere le elezioni”. Lui conclude non disperando che ciò possa accadere, in Italia ed in Europa. Lo confesso, io sono un po’ meno ottimista del mio mentore. Giusto un anno fa, nell’introduzione del mio libro “Da Monti a Draghi, cronaca di una ripresa (s)tentata”, scrivevo:” La nostra classe politica ha mai veramente avuto l’intenzione di promuovere quelle riforme strutturali che da almeno un ventennio, ma anche oltre, tutti indicano come la “conditio sine qua non” per uscire da una situazione che definire problematica è quantomeno riduttivo? Nel corso degli anni ho maturato la convinzione che la questione travalichi il colore politico dei Governi; in altri termini, tutti i partiti e le relative coalizioni che si sono succedute nel corso del tempo, forse con qualche parziale eccezione peraltro non premiata da consensi e risultati concreti, hanno finito per privilegiare lo spirito di sopravvivenza a scapito dell’incisività di azioni che avrebbero potuto scontentare il loro elettorato di riferimento. Negli intenti programmatici, più o meno tutti hanno veicolato la narrativa della volontà di coniugare il non più differibile cambiamento con il dovere di perseguire l’ equità sociale, peraltro specificando un po’ confusamente la direzione del primo ed i contenuti della seconda. Nei successivi provvedimenti annunciati e, per fortuna, non sempre realizzati, questo virtuoso connubio ha non di rado assunto le vestigia di misure “ad clientem”, ossia un favore o una strizzatina d’occhio al proprio bacino elettorale, con il conseguente effetto di un piccolo o grande spregio all’interesse generale. L’inevitabile risultato di questa politica delle consorterie è stato quello di aggravare sempre più le condizioni economiche del Paese, che oggi vanta il non invidiabile primato di un debito pubblico pro capite fra i più alti al mondo, un’evasione fiscale imparagonabile rispetto a quella degli altri Stati occidentali ed una produttività media dei fattori inferiore a quella dei nostri principali competitori.” Forse, la maggiore conoscenza delle stanze e degli umori del Potere e la saggezza dovuta all’accumulo di esperienze e all’incedere dell’età, fotografa sì una situazione dell’esistente analoga a quella da me descritta, ma, da parte sua, con una visione della prospettiva futura leggermente più ottimistica. Anche perché, ma questa è una mia considerazione estrapolata dagli accadimenti del 2011, sarà eventualmente la forza dei numeri a orientare decisioni e attuare scelte necessitate. Memorabile, durante la serata, è stata la battuta su quello che è stato il leit motiv delle politiche economiche negli ultimi anni, che ha provocato il fragoroso applauso della platea da tutto esaurito : dal bonus al superbonus , in trepidante attesa dell’iperbonus, il tutto nel rispetto della logica della GDO sociale. Mi auguro che la cauta professione di ottimismo avanzata da Monti si avveri; lo auspico per tutti noi, lettori ovviamente inclusi, ma soprattutto per le giovani generazioni, i cui figli fin dalla nascita si trovano a fare i conti con un debito pro capite di 50.000€, con una pericolosa e al momento irrefrenabile tendenza alla crescita. Se ciò avverrà, la MOPANTONIA (MOntiPANzierasinTonia) potrebbe davvero divenire un neologismo di successo.