Una sorta di corto circuito fra le parole e gli atti concreti, giustificato ex post con le motivazioni più bizzarre ed a ogni evidenza del tutto inverosimili

Di: Andrea Panziera

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Come ho ripetuto in più occasioni, sono allergico alle autocitazioni che, non di rado, rappresentano la cartina da tornasole dell’arroganza di chi le propone o lo sfoggio di una presunta superiorità intellettuale assai discutibile ed il più delle volte inesistente. Peraltro, in alcuni particolari casi, risulta quasi impossibile farne a meno, non tanto per ricordare agli immemori il fatidico “io l’avevo detto”, ma soprattutto per sgombrare il campo da possibili equivoci in merito alla corretta e, ahimè, giocoforza ripetitiva interpretazione degli eventi. Nel mio ultimo libro, oltre al profondo scetticismo sulla reale volontà di buona parte della nostra classe dirigente di dar vita ad una seria politica di riforme strutturali, dai più definita necessaria ma quasi mai avviata ed attuata con le opportune scelte rivenienti, manifestavo a più riprese il mio sconcerto riguardo la mancanza di coerenza e consequenzialità fra le dichiarazioni e le delibere ufficiali e i susseguenti comportamenti in sede di approvazione delle medesime; una sorta di corto circuito fra le parole e gli atti concreti, giustificato ex post con le motivazioni più bizzarre ed a ogni evidenza del tutto inverosimili. Di esempi se ne potrebbero fare parecchi, anche solo prendendo in esame gli ultimi mesi, con l’aggravante che questo virus dell’inaffidabilità, di scarsa o nulla congruenza logica, che si traduce in veri e propri giri di valzer alla stregua di mediocri avventori di balera, si estende esponenzialmente nella gran parte dei consessi che per ruolo istituzionale sarebbero deputati ad assumere decisioni razionali. E, aggiungo, possibilmente basate su criteri non ideologici o “pro clientes”. Spesso il dubbio è che, quanto più si scende di livello nelle responsabilità, a farla da padrone non sono le furberie dei c.d. “marpioni della politica”, i quali invero in molti casi paiono un po’ bolliti e qualitativamente in trend assai calante rispetto ai predecessori. La rapa o il ravanello rimangono tali, anche se il marketing in qualche caso aiuta a migliorarne l’immagine. Ma se in qualche manifestazione pubblica locale la banda di paese suona “il Piave mormorava” per commemorare il 25 aprile, delle due l’una: o qualche insegnante di storia ha sbagliato mestiere, oppure l’alunno, diventato adulto, è affetto da analfabetismo cognitivo. Mi rifiuto di pensare che sia in vena di provocazioni, ma il dubbio rimane. O forse, l’esempio non proprio commendevole dei Capi in testa, induce gli ascari collocati nei piccoli paesi all’imitazione patetica. E di queste alzate di ingegno ultimamente ne vediamo parecchie, con una compartecipazione pro quota di tutte le parti politiche, nessuna delle quali risulta immune dal fallo di gioco, pur con motivazioni differenti. A parziale giustificazione di queste, chiamiamole così, “sbandate politicanti”, vi è la circostanza che fra poche settimane si vota per il rinnovo del Parlamento europeo e dal momento che il sistema elettorale è il proporzionale puro con soglia di sbarramento al 4% minimo, la ricerca di un posto al sole sta diventando spasmodica ed ogni elemento distintivo viene enfatizzato, in qualche caso anche a rischio del ridicolo. Invito i lettori a dare uno sguardo, seppur fuggente (e vista la penuria di contenuti non serve molto tempo) ai vari programmi delle forze politiche in campo. A parte rare eccezioni, manca soprattutto una cosa: la visione dell’Europa del futuro. Tante frasi fatte, proclami, spesso banalità condite da salse nazionaliste che porterebbero alla dissoluzione totale dell’Unione nel giro di pochi mesi, quasi nessuna risposta alle sfide che ci attendono nei prossimi anni rispetto a temi non più eludibili: progetti di difesa comune, idee e azioni volte a combattere i cambiamenti climatici, misure per tutelare gli interessi comuni europei nei mercati globali, garanzia del rispetto dello Stato di Diritto in tutti i Paesi membri, atteggiamento univoco verso quelle Nazioni dove le libertà individuali vengono ignorate e negate. Nel mezzo di queste afasie, alle quali si sommano un surplus di amnesie storiche e, da parte di alcuni, l’indebita e ambigua appropriazione di parole che costituiscono invero un patrimonio collettivo, senza specificarne contesti e contenuti, quasi come inevitabile conseguenza trionfano le contraddizioni, le prese di posizione più assurde e insostenibili, che fanno assomigliare la politica al gioco delle tre carte. Due casi per tutti. Siamo stati l’unico Stato che si è astenuto compatto sul voto di ratifica delle Regole del Nuovo Patto di Stabilità. Ma non si era detto, quantomeno dall’attuale maggioranza, che grazie al nostro intervento in questa nuova versione si erano finalmente tutelati gli interessi dell’Italia? L’Euro Parlamento lancia un forte allarme allo scopo di arginare i tentativi di ingerenze russe in vista delle elezioni europee di inizio giugno e mette ai voti la proposta. Risultato: 429 sono favorevoli, 27 i contrari, 48 gli astenuti. Ma anche stavolta – come già accaduto per il voto contro l’Ungheria per la violazione dello Stato di Diritto – manca il via libera dei due maggiori partiti del Governo. E, nel nome di un meglio specificato concetto di pacifismo, si è astenuto anche il secondo partito della nostra opposizione. Cos’altro aggiungere. Forse che il rating BBB da ultimi della classe che le Agenzie ci assegnano grazie alla nostra acclarata inaffidabilità è più che meritato e ci sforziamo di confermare l’outlook in ogni occasione possibile?