Se osservassimo con attenzione le varie misure di ampiezza del mercato, dovremmo fare i conti con implicazioni insieme positive e negative

Di: Fabio Michettoni

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Se osservassimo con attenzione le varie misure di ampiezza del mercato, dovremmo fare i conti con implicazioni positive e negative allo stesso tempo. Il nostro benchmark resta sempre l’indice S&P500. Prima considerazione: malgrado una effervescente rotazione settoriale, parecchi titoli sono in ritardo rispetto all’indice più capitalizzato del mercato, il che è un segnale di cautela. Seconda considerazione: molti titoli stanno rimbalzando su potenziali livelli di supporto.

Il grafico 1 confronta l’S&P 500 con la sua Advance/Decline line dall’inizio dell’anno. Da questo riscontro grafico si può rilevare una maggior caduta nel mese di agosto, ma anche che l’Advance/Decline line è in fase di rimbalzo sulla sua media mobile a 200 giorni, con un ritorno sopra la sua media mobile a 50 giorni. Su un intervallo più lungo, il grafico mostra anche che la linea AD viene ancora scambiata ben al di sotto del massimo di febbraio, mentre l’S&P500 ha superato quel picco precedente. Quindi, mentre la tendenza a breve termine risulta in fase di miglioramento, la tendenza a lungo termine inizia a perdere grip, con qualche segnale di preoccupazione.

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Il grafico 2 mostra la percentuale dei titoli dell’S&P 500 al di sopra della media mobile a 50 giorni che, scendendo fino al minimo di giugno, riflette una debolezza strutturale che fatica ad essere riassorbita. Anche in questo caso stiamo però assistendo ad un rimbalzo su un potenziale livello di supporto, intervenuto in condizioni di ipervenduto. Resta il fatto che questa reazione avrebbe ancora molta strada da fare, prima di riguadagnare la propria media, perché, al momento, solo il 47% dei titoli ricompresi nell’S&P500, sono al di sopra della media mobile a 50 giorni.

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Allargando la metrica di ampiezza, il grafico 3 mostra la percentuale di azioni dell’S&P500 al di sopra della media di 200 giorni. Al momento la lettura fa osservare che il 58% dei titoli viaggia sopra la media a 200. Ciò significa che il 42% delle azioni sono ancora al di sotto della media a 200 giorni. Anche in questo caso, tuttavia, è possibile apprezzare sul breve una reazione da condizioni di ipervenduto, ma resta comunque al di sotto delle sue linee di media di riferimento. Per valutare in modo oggettivo la struttura dell’intero mercato si deve passare obbligatoriamente anche attraverso la funzione transitiva delle small e mid cap. Bene, situazioni precedenti sull’ampiezza del mercato hanno sottolineato che la maggior parte della debolezza del mercato più ampio, si può osservare nei titoli più piccoli. All’oggi vale ancora questa osservazione.

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Il grafico 4 mostra che l’indice Russell 2000, visto attraverso l’ETF iShare Russell 2000 (IWM), è rimbalzato sul supporto a ridosso dei minimi di giugno e della media mobile a 200 giorni, drenando eccessi da ipervenduto. Su una base di più lungo termine, tuttavia, l’incapacità dell’IWM di superare il picco di febbraio mette in dubbio la forza del mercato azionario nel suo complesso.

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E veniamo adesso a qualche accenno di natura intermarket, considerando il mercato obbligazionario. L’aumento dei rendimenti è uno dei principali fattori che hanno esercitato pressioni sui titoli azionari nel mese di agosto. Già in precedenza si era visto che il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni stava mettendo alla prova il suo massimo precedente, raggiunto lo scorso ottobre.

Un calo dei rendimenti obbligazionari ha, probabilmente, contribuito al rimbalzo delle azioni di questa settimana, causando peraltro un rimbalzo dei prezzi delle obbligazioni. Il grafico 5 mostra l’ETF TLT, che replica un benchmark su scadenze obbligazionarie superiori ai 10 anni e che sembrano aver trovato un supporto a ridosso dei minimi di ottobre-novembre. Livello particolarmente sensibile e considerato uno spartiacque per tendenze future, comportando importanti implicazioni a lungo termine: questo perché un prezzo più alto per le obbligazioni implica rendimenti obbligazionari più bassi, il che sarebbe positivo per le azioni. Prezzi obbligazionari più bassi, invece, per rendimenti più elevati, potrebbero avere un impatto più negativo sui prezzi delle azioni.

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