Leggendo e riflettendo sulle dichiarazioni degli esponenti di Governo di queste ore, emerge una verità incontestabile: non ci sono soldi

Di: Andrea Panziera

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Partiamo dalle certezze. Leggendo e riflettendo sulle dichiarazioni degli esponenti di Governo di queste ore, emerge una verità incontestabile: non ci sono soldi e quei pochi disponibili sicuramente non verranno utilizzati per interventi nel settore scolastico, a partire dal rinnovo dei contratti. Stessa sorte toccherà a tutti i dipendenti del settore pubblico. Certo, ci sono i fondi del PNRR, ammesso ma non concesso che tutti i progetti siano presentati in tempo utile e approvati in sede comunitaria. Visto il percorso piuttosto tribolato di questi mesi, qualche dubbio in proposito appare più che lecito. Ormai da molti anni la filiera educativa – formativa italiana versa in uno stato non proprio commendevole. Un tempo le nostre scuole, sia quelle di grado inferiore che le superiori e gli Atenei, godevano di prestigio a livello internazionale ed erano reputate delle vere e proprie eccellenze. Le ultime classifiche sono impietose e ci collocano in posizioni di retroguardia, con poche eccezioni limitate a qualche specifica Facoltà universitaria di Milano, Torino e Roma. A detta di molti esperti in materia, Crepet e Recalcati fra gli altri, anche la qualità media del corpo docente, soprattutto quella riscontrabile nelle scuole medie inferiori e superiori, ma non solo, si è progressivamente svilita, così come il valore riconosciuto al diploma sul mercato del lavoro. Vero è che il mestiere dell’insegnante risulta da un lato sempre meno gratificante con riguardo al quantum della remunerazione netta percepita; dall’altro, il rispetto per il loro ruolo formativo e sociale è sempre più spesso messo in discussione, per non dire osteggiato e vilipeso, dallo sgretolamento ormai evidente della capacità di molte famiglie di adempiere in modo almeno sufficiente alla loro funzione genitoriale. Chiedere alla scuola di svolgere compiti di supplenza rispetto a ruoli cha da sempre competono al padre e alla madre, equivale ad alimentare confusione in una società che sta smarrendo quelle poche certezze che gli rimangono. Infine, alcuni recenti interventi dell’Autorità giudiziaria (i TAR in primis), che si arrogano il diritto di sovvertire i giudizi espressi dai docenti, stabilendo del tutto arbitrariamente e con motivazioni cervellotiche chi e perché deve essere promosso a dispetto dell’esito a volte disastroso del percorso scolastico, rappresentano una pericolosissima intromissione di campo e di fatto contribuiscono a demolire ogni residua permanenza in ambito educativo di concetti basilari come merito e responsabilità. Se questo è il modello che gli invadenti togati hanno in mente, beh, prevedo che i giudizi sul nostro sistema dell’istruzione assumeranno di qui a breve connotazioni ben peggiori di quelli attuali. In questo panorama non proprio esaltante si confermano, o emergono, alcune eccezioni virtuose, soprattutto ma non solo, confinate in ambito accademico. Penso ad alcuni Politecnici, alla Luiss, alla Bocconi, i cui migliori laureati si distinguono non solo in Italia ma nei più importanti Paesi del mondo e non hanno alcuna difficoltà a trovare in tempi rapidi un posto di lavoro in linea con le loro aspettative. Ma mi riferisco anche agli Istituti Tecnologici Superiori, da qualche anno ribattezzati ITS Academy, quei percorsi post-diploma professionalizzanti la cui ragion d’essere è quella di offrire una formazione meno teorica e più operativa rispetto a quella dell’Università, in modo da rispondere con più rapidità ed efficienza alle offerte di lavoro provenienti dalle aziende. Il riscontro numerico relativo alle assunzioni, compreso fra l’80 ed il 90%, attesta senza ombra di dubbio la validità di queste realtà. Invero, gli ITS rappresentano una opportunità alternativa al percorso universitario presente nel nostro Paese ormai da 15 anni, la cui genesi va ricondotta alla volontà della classe politica di introdurre anche da noi modelli formativi esistenti da tempo in quasi tutti gli Stati europei. Peraltro, un semplice confronto numerico sulla frequenza, evidenzia che il persistente gap in termini di iscritti è enorme e forse per questo motivo il precedente Esecutivo ha ripreso ed infine portato a compimento l’iter parlamentare di riforma del sistema ITS, facendo ratificare il 15 luglio del 2022 la relativa Legge n. 99. Tuttavia, come noto a tutti coloro che si occupano di queste vicende, l’approvazione finale di un provvedimento legislativo alle Camere, costituisce solo il primo passo affinché esso poi possa trovare concreta applicazione. Usando una metafora artistica, questo approdo rappresenta solo il quadro d’assieme generale, al quale mancano tutti gli elementi decisivi ( i c.d. Decreti attuativi) che completano l’opera e ne caratterizzano i contenuti. Ebbene, a distanza di più di un anno siamo ancora in alto mare ed ogni previsione sui tempi di entrata in vigore e sulla definitiva configurazione della riforma sono avvolti da un pesante velo di indeterminatezza. Mentre scrivo, di Decreti attuativi, ne sono stati emanati soltanto tre e di quelli restanti nulla si sa. Il primo si occupa della composizione e delle attività delle Commissioni d’Esame incaricate di valutare le prove di verifica finali. Rispetto al passato, una parte del punteggio verrà attribuita sulla base all’andamento dell’intero percorso di studi. Il secondo, disciplina le regole di funzionamento del Comitato nazionale ITS Academy, che verrà istituito dal Ministero e lo affiancherà come Organo di Consulenza. Il terzo stabilisce gli standard minimi dello Statuto delle Fondazioni ITS Academy, in termini patrimoniali e di valorizzazione di alcuni ruoli – chiave ( tra cui i dirigenti scolastici). Tutti aspetti sicuramente importanti, ma che lasciano ancora inevasa una questione fondamentale: quale figura professionale si vuole promuovere attraverso il percorso formativo ITS Academy? La necessità di una risposta chiara ed esaustiva appare tanto più urgente alla luce di uno dei cardini della riforma, che prevede l’allungamento del ciclo di studi a tre anni, equiparandolo a tutti gli effetti con quello della Laurea breve. Nel corso dei miei sette anni di insegnamento in ITS, dal confronto con i colleghi su questo tema, ho maturato la consapevolezza che, aldilà della omogeneità della terminologia lessicale adoperata, esiste una profonda difformità di vedute riguardo ai contenuti concreti. Di per sé, la professione di “Tecnico superiore” può significare tutto ed il suo contrario: si passa dal super esperto, specialista nell’applicazione delle moderne tecnologie Agrifood 4.0, al manager agroalimentare che possiede una visione complessiva del processo produttivo ed è in grado di gestirlo, ad una figura in grado di coniugare conoscenze agronomiche, principi di sostenibilità ambientale, con una solida preparazione sulle dinamiche dei mercati. Invero, esistono anche interpretazioni più riduttive dei contorni di questa figura, letta non di rado come il raccoglitore del testimone nella conduzione aziendale con un “plus” di tecnologia e cultura generale. La verità, a pensarci bene, è che verosimilmente queste differenti visioni possono e forse devono coesistere, perché il mondo del lavoro reale le include e si nutre di tutte. Di conseguenza, il futuro ITS triennale deve valorizzare queste peculiarità e non diventare feudo di questa o quella visione, cinghia di trasmissione dei “desiderata” di associazioni, categorie e clientele di ogni specie o colore. Le quali, detto per inciso, hanno sempre investito pochissimo nella formazione interna e già con il sistema attuale (e ancor più con la riforma a pieno regime) si avvalgono di un esercito di stagisti a costi irrisori o nulli da inserire nei loro organici. E poi appare doveroso porsi una domanda: in che misura tutte queste ipotesi di “sponsorizzazioni esterne”, pensate come corollario palingenetico della riforma, tengono conto delle legittime aspettative dei giovani, dei loro interessi, della necessità di conciliare la crescente avanzata dell’innovazione tecnologica e dei nuovi paradigmi sociali, eticità del lavoro e sostenibilità ambientale in primis? Così accade all’estero per gli Istituti analoghi ai nostri ITS e penso che la strada da percorrere sia proprio questa: ottimizzare la qualità della formazione, con criteri di selezione del corpo docente esperienziali, motivati ed oggettivi, per rispondere in modo adeguato ed esaustivo alla variegata domanda di competenze e professionalità provenienti da un mondo del lavoro dalle caratteristiche eterogenee e dagli scenari mutevoli. Piuttosto, sarebbe di grande aiuto riuscire a comprendere le cause del limitato successo che gli ITS Academy hanno finora riscosso presso gli studenti e le loro famiglie. I numeri, se raffrontati con quelli della maggior parte dei nostri competitor comunitari, sono impietosi. Una adeguata risposta e le conseguenti azioni correttive gioverebbero alla causa molto più di tante proposte, il cui tasso di valore aggiunto appare ad ogni evidenza piuttosto scarso, preda di una visione partigiana e di conseguenza un po’ limitata, ergo prodromo di probabili e dannose conflittualità, vista l’eterogeneità degli attori coinvolti nel percorso ITS Academy.