Ribadisco e confermo: i nodi verranno al pettine alla riapertura del Parlamento e saranno assai difficili da districare

Di: Andrea Panziera

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Ribadisco e confermo: i nodi verranno al pettine alla riapertura del Parlamento e saranno assai difficili da districare. Alcuni lettori mi hanno inviato commenti e riflessioni dopo il mio ultimo articolo pubblicato nella rubrica Lampi News (Chiuso per ferie. Se ne riparla a settembre), in cui criticavo tempi e modalità del provvedimento pomposamente definito “tassazione sugli extra-profitti bancari”, chiedendomi se non fosse giusto attuare per questa via una qualche forma di redistribuzione del reddito. In realtà, messa così, la questione è invero mal posta; ogni misura che si pone l’obiettivo di combattere forme di ingiustizia sociale e/o di indebiti arricchimenti è sicuramente da prendere in considerazione. Ma in via preliminare, onde evitare che gli effetti in tutto o in parte siano differenti da quelli auspicati dal legislatore, vanno attentamente studiate e messe a punto le procedure di applicazione, la congruità con quanto previsto dalla normativa vigente, interna e comunitaria, la possibilità di traslazione in altre direzioni del/dei provvedimento/i. Una prima lettura di quanto sta avvenendo in queste ore, i distinguo all’interno della stessa maggioranza di Governo, l’imbarazzato silenzio del titolare del Ministero competente, la preannunciata replica sfavorevole da parte della BCE, nonché la fredda (eufemismo) reazione dei Mercati, tutto ciò fa ritenere che in questa occasione il provvedimento sia stato concepito male, comunicato peggio e volutamente depotenziato durante il suo percorso di approvazione alle Camere. Con buona pace di chi pensava di poterne ricavare un bel “tesoretto” (termine che andrebbe vietato, con congrua multa a chi ne facesse ulteriore improprio utilizzo), per rattoppare i malconci Conti Pubblici nazionali. Come da me calcolato e confermato da quasi tutto il consensus della stampa specializzata, ad essere ottimisti le nuove entrate raggiungeranno a malapena i 2 miliardi di euro e solo per mantenere in piedi gli Impegni di Spesa inderogabili ed altre uscite non comprimibili, rebus sic stantibus all’appello mancano più di 20 miliardi di euro, che diventano poco meno di 30 se si vogliono reiterare misure temporanee in scadenza a fine anno ovvero rinnovare, come promesso in questi mesi, i contratti di dipendenti pubblici fermi da anni. Insomma, quella che si preannuncia da qui a qualche settimana, è una manovra finanziaria in cui manca proprio la materia prima, i quattrini. Io non sono un esperto di alchimie contabili e, alla luce della sua pressante richiesta di queste ore, ritengo che neanche l’attuale inquilino del MEF lo sia. Nel momento in cui a tutti i Dicasteri vengono chieste scelte improntate alla responsabilità ed alla austerità, sono portato a credere che la sua visione non sia molto dissimile dalla mia. Tradotto per chi fosse un po’ duro d’orecchio, ciò vuol dire che tutte o quasi le promesse di questi mesi, sparse a piene mani al solo scopo di raccattare consenso, vanno messe da parte in attesa di tempi migliori. Quindi niente soldi per riformare un sistema scolastico la cui qualità complessiva, strutturale e formativa, appare in declino da anni. Niente quattrini per la sanità pubblica, che di questo aggettivo conserva ormai soltanto un pallido simulacro, visto che, in termini di tempistica, il gap fra domanda di prestazioni e offerta ha raggiunto dimensioni bibliche. Niente riforma pensionistica con annesse nuove scalette, scalini o scaloni e, soprattutto, niente opere infrastrutturali faraoniche. Tutto va in coda lavori, in attesa di osservare gli sviluppi della congiuntura internazionale. Ma questi tempi migliori sono effettivamente percepibili o ipotizzabili, in un orizzonte che diventa sempre più incerto e imprevedibile? Quello che sta accadendo in Cina nelle ultime settimane, che peraltro rappresenta solo l’inevitabile epilogo di una ripresa dopata da anni di sovvenzioni immobiliari, potrebbe avere ripercussioni che vanno ben aldilà del crack di qualche colosso del settore delle costruzioni. Molti enti locali per anni hanno basato i loro bilanci non sui tributi locali ma sull’equivalente dei nostri oneri di urbanizzazione, cedendo in affitto terreni su cui edificare e stipulando contratti a lungo termine con le imprese edili. Adesso queste entrate non ci sono più e comuni e distretti devono essere in qualche modo salvati dal governo centrale. Peraltro, la crisi avrà ripercussioni non marginali anche sul sistema bancario e finanziario e non a caso qualche esperto ha parlato di Lehman Brother’s in salsa cinese. Come effetto collaterale, sicuramente tutto ciò porterà ad una riduzione della domanda a livello globale, le cui dimensioni non sono al momento prevedibili. Un altro fattore, che sicuramente non gioca a favore di un radioso orizzonte a breve termine, è costituito dal persistente elevato rendimento dei titoli obbligazionari, conseguenza del non allentamento degli interventi sul costo del denaro da parte di tutte le Banche centrali. Chi legge i miei articoli ricorderà le critiche rivolte verso queste Istituzioni, rivelatesi spesso ambigue o contraddittorie nelle loro previsioni e nelle decisioni conseguenti. Peraltro, non esistono molti altri strumenti per combattere una situazione di persistente rialzo dei prezzi come quella attuale, che al netto delle componenti volatili rimangono più elevati delle aspettative, se non quello di agire sui tassi di interesse. È altrettanto evidente che in un Paese con un alto debito come il nostro, il peso sul Bilancio degli oneri finanziari in costante aumento può alla lunga avere ripercussioni pesanti sui Conti Pubblici, al limite dirompenti. A tale proposito, gli ultimi dati pubblicati da Bankitalia hanno fatto scattare un alert che non va affatto sottovalutato e la relativa stabilità attuale dello spread andrà riesaminata e confermata quanto verranno resi noti i contenuti della prossima Legge di Bilancio. Chi si oppone all’aumento dei tassi di interesse invocando altri mezzi per contrastare l’inflazione, dovrebbe quantomeno indicare quali e spiegare come utilizzarli. Dire, come ha fatto la nostra Premier, che non siamo di fronte ad un eccesso di domanda ma a cause “endogene” (in realtà sono esogene) senza specificare le alternative alle politiche monetarie attuate, non reca alcun contributo alla soluzione del problema. In realtà, queste posizioni un po’ velleitarie e poco costruttive insinuano il dubbio che una parte non marginale della nostra classe politica provi nostalgia per i bei tempi andati, quando l’inflazione veleggiava verso ed oltre il 20% ed eravamo tutti felici e contenti. Vorrei sommessamente ricordare a chi lo avesse dimenticato che l’esplosione del Debito Pubblico iniziò proprio in quegli anni “da bere”, che da allora la crescita iniziò a zoppicare e che per salvarci dal rischio di insolvenza fummo costretti a mettere a pegno le nostre riserve auree. Vogliamo tornare a ripercorrere lo stesso percorso, ammesso e non concesso che ciò sia possibile e, aggiungo, auspicabile? Quello che sarebbe necessario, ma proprio per questo non verrà in alcun modo preso in considerazione, è una sana operazione-verità, avente per obiettivo l’introduzione di una Politica dei Redditi alla Ugo La Malfa, tanto per capirci. “Cari italiani, per molto tempo abbiamo vissuto come Nazione al di sopra delle nostre effettive possibilità ed è giunto il momento di fare i conti con la realtà. Bisogna determinare cosa è possibile chiedere e quali sono le condizioni per ottenerlo, chi deve sopportare i sacrifici maggiori e in che misura. E come primo passo, va stabilita la scala delle priorità”. Ma quando mai si è visto un esponente politico che, colto da improvviso ravvedimento sulla via di Montecitorio o Palazzo Madama, come d’incanto si mette a cantare: “Addio sogni di gloria, addio castelli in aria”? Ma, come ha detto in queste ore un giovin senatore di lungo corso partitico, il risveglio forzato potrebbe essere indotto da un foglio excel proveniente dalla Ragioneria dello Stato.