Il mondo intero parla della scomparsa di Silvio Berlusconi, la cui famosa “discesa in campo” ha costituito una vera e propria rivoluzione copernicana

Di: Andrea Panziera

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In queste ore il mondo intero parla della scomparsa di Silvio Berlusconi e quasi tutti concordano su un punto che a mio avviso rappresenta la cifra caratteristica del suo operato: comunque lo si voglia giudicare, il suo ingresso nella vita politica 30 anni fa (la famosa “discesa in campo”) e, prima ancora, la sua ascesa nel mondo imprenditoriale e poi in quello sportivo, ha costituito una vera e propria rivoluzione copernicana. Esiste un prima e un dopo nella storia del nostro Paese e questa chiara linea di demarcazione va ricondotta alla sua personalità, al suo modo di essere e relazionarsi con gli altri, alla sua concezione di businessman e a quella di rappresentante al massimo livello delle Istituzioni repubblicane. Qualcuno forse in termini un po’ semplicistici ma sicuramente efficaci e con un non tanto recondito fondo di verità, ha affermato che con lui il marketing e la vendita sono entrati a far parte a pieno titolo dell’armamentario del politico di successo. I libri di storia quasi certamente dateranno al 1994 la nascita della nostra seconda Repubblica. Che lui fosse un maestro della comunicazione efficace lo si era già capito alla sua prima ed eclatante dichiarazione pubblica, il famoso annuncio dell’entrata nell’agone partitico. Bastava l’incipit per percepire il cambiamento che di lì a pochi mesi si sarebbe materializzato in una clamorosa vittoria elettorale. Il tono del discorso, la voce suadente, il linguaggio totalmente differente da quello paludato e non di rado noioso o per addetti ai lavori usato dalla gran parte dei parlamentari dell’epoca, costituiva una evidente frattura e raccoglieva, facendole proprie, le diffuse istanze di cambiamento che in piena Tangentopoli provenivano da ampie fasce della popolazione. Poco importava che l’ascesa di Berlusconi fosse stata supportata anche da quella classe politica da cui lui implicitamente prendeva le distanze: nelle sue parole, nei suoi atti, nelle sue scelte, forma e sostanza sono sempre state un tutt’uno, un binomio inscindibile. Con lui è nata l’espressione “capire ed identificarsi con la pancia della Nazione”. La mia reminiscenza personale della sua epopea risale ad una decina di anni prima, nel 1983, quando muovevo i primi passi nel mondo dell’intermediazione finanziaria. Ricordo la mia partecipazione, in qualità di osservatore interessato, ad una delle prime riunioni della sua rete di promotori finanziari, Programma Italia, l’embrione di quella che sarebbe diventata Banca Mediolanum: il suo ingresso sul palco al suono della Cavalcata delle Valchirie, al cospetto di una platea plaudente ed adorante, gli spunti motivazionali fortissimi che scaturivano dalle sue parole e il carisma che riusciva a trasmettere. Io non mi sono mai riconosciuto nelle sue idee e nei miei scritti ho criticato in più occasioni le sue decisioni, soprattutto quelle di politica economica. Tuttavia, sarebbe miope, oltreché profondamente sbagliato, non riconoscere l’importanza storica della sua figura, la sua influenza nella vita politica e nei costumi del Paese, la sua tenacia, il suo impegno nel tessere le relazioni internazionali, il suo contributo alla costituzione di un polo conservatore europeo di matrice liberale, i suoi successi nel campo imprenditoriale ed in quello sportivo. Con la sua scomparsa si chiude un’epoca storica ma la sua memoria è destinata a durare, sia fra coloro che lo hanno amato sia fra quelli che lo hanno avversato. Ora è il momento dell’umana pietà, non quello dei giudizi; a quelli ci penseranno gli storici a tempo debito, con analisi, per quanto possibile, obiettive e scevre da ogni forma di partigianeria.