Oggi, molti dei “vecchi” valori sono stati dismessi o forse sono annegati nel mare dei petrodollari in cui navigano i nuovi padroni del calcio

Di: Andrea Panziera

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Certo, quelli della mia generazione vedono il mondo dello sport e, in particolare, quello del calcio con gli occhi di altri tempi. Solo pochi giorni fa scrivevo in questa rubrica dell’addio a Luisito Suarez, l’impareggiabile euclideo della Grande Inter. Un’epoca in cui termini come attaccamento alla maglia, rispetto per i tifosi, onestà intellettuale, riconoscenza verso il proprio team avevano ancora un qualche significato. In realtà, anche in un passato più recente, esempi illustri che andavano in questa direzione non sono mancati. Penso ai capitani delle squadre più importanti e vincenti di quegli anni come Zanetti, Maldini, Totti e Del Piero, giusto per fare alcuni nomi. L’elenco potrebbe essere ben più lungo, ma gli appassionati pallonari non hanno bisogno di altre menzioni. Oggi questi valori sono stati completamente dismessi o forse sono annegati nel mare dei petrodollari in cui navigano i nuovi padroni del football ed i loro team europei di acquisizione recente. Che il vento soffi in quella direzione è ormai evidente, con una ulteriore variante sopravvenuta in questi mesi: creare un campionato locale “top grade”, pescando qui e là giocatori famosi ma un po’ spompati, o vogliosi solo di rimpinguare il loro forziere personale prima di appendere gli scarpini al chiodo. Una sorta di giocattolo privato, ad uso e consumo quasi esclusivo dell’ elite e della sua ristretta cerchia . I giustificazionisti valutano questa situazione come inevitabile conseguenza dell’ industrializzazione del calcio, i puristi ribattono parlando di deriva mercenaria. Per mia natura rifuggo dalle generalizzazioni, anche se c’è del vero in entrambe le posizioni. Ma forse ogni vicenda rappresenta un caso a sé e come tale va giudicata. Anche perché si è visto che non tutti i giocatori, di fronte a proposte e contesti molto simili, si comportano allo stesso modo. Da tifoso interista, sono rimasto sgradevolmente sorpreso e, lo confesso, basito dagli sviluppi del caso Lukaku. Non me lo sarei mai aspettato e ritengo che la gran parte dei supporter nerazzurri condivida il mio pensiero. Premesso che ogni calciatore, se il suo rapporto contrattuale glielo consente, è libero di scegliersi la squadra con cui giocare, anche se con questa da avversario ha avuto non pochi problemi; ha tuttavia l’obbligo morale di chiarire e rendere pubblica questa sua scelta, perché in caso contrario la sua correttezza e onestà professionale si disintegrano. La credibilità di una persona che si eclissa per giorni, mentre la società per cui ha dichiarato di voler giocare sta perfezionando il suo acquisto, è prossima allo zero e nessun tifoso di qualsiasi altra squadra con un minimo di sale in zucca presterà fede alcuna alle sue parole. In queste ore tutti i media sportivi stanno mandando in onda le interviste di Lukaku, che escludeva categoricamente la possibilità di militare nella Juventus o nel Milan; nel contempo sta emergendo che il suo entourage trattava con entrambi i club, su mandato ovvero con l’approvazione del diretto interessato. Bene ha fatto la dirigenza interista a troncare di netto i rapporti con lui e la sua corte dei miracoli. Questa spiacevole vicenda serva da lezione anche per il futuro, perché, siamone consapevoli, comportamenti simili si sono verificati in passato e sono destinati ahimè a ripetersi. Per l’armonia della squadra, in campo e fuori, quindi per raggiungere gli obiettivi, non servono top player o presunti tali, la cui faccia rischia di confondersi con un’altra parte somatica molto meno nobile.