Un altro pilastro della Grande Inter ci ha lasciato. A 88 anni, Luisito Suarez, stella della squadra di Herrera, si è spento nella giornata di sabato

Di: Andrea Panziera

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Oramai il loro numero residuo si conta sulle dita di una mano, riserve incluse. Un altro pilastro della Grande Inter ci ha lasciato. A 88 anni Luisito Suarez, stella della squadra di Helenio Herrera, regista impareggiabile di una delle compagini più forti di sempre, non solo in Italia ma a livello continentale, si è spento nella giornata di sabato. I calciofili più informati dicono che quando un suo compagno, nei club o nella nazionale iberica, si trovava in difficoltà, prendeva in considerazione un’unica soluzione: passare la palla a lui che di sicuro non l’avrebbe sprecata. Luis era un galiziano nato a La Coruña ed era approdata a Milano nel 1961, con alle spalle una brillante carriera nel suo Paese, dove aveva già vinto due scudetti, due Coppe di Spagna ed un Pallone d’Oro. Con l’Inter di Angelo Moratti di Campionati ne avrebbe conquistati altri tre, più due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali e due Coppe delle Fiere. Come capitano della sua Nazionale ha trionfato agli Europei del 1964. Un palmares incredibile, per un campione impareggiabile in campo e fuori. Proseguì la sua carriera fino ai primi anni ’70, diventando poi allenatore ed in seguito apprezzato opinionista televisivo. Da ragazzino, ho avuto anche il piacere di incontralo di persona mentre era in compagnia di Mariolino Corso: personalità del tutto differenti, ma in campo costituivano una simbiosi perfetta in quanto entrambi erano inarrivabili geni del mondo pedatorio. Dotato di inventiva improvvisa e letale il mancino veronese, di razionalità e geometrie spesso risolutive lo spagnolo. Ricordo in particolare i suoi lanci dritto per dritto a scavalcare il centrocampo per smarcare in corsa le punte, del tutto inusuali all’epoca, sia per la gittata sia per l’assoluta precisione, che oggi definiremmo “chirurgica”. Sul terreno di gioco era un leader ed un signore, ma soprattutto rappresentava una eccezione virtuosa rispetto al classico regista di quei tempi, dotato di buona classe ma poco propenso alla corsa. Lui macinava chilometri quasi come un mediano e non disdegnava i contrasti con gli avversari, sempre nei limiti di una sana e leale contesa di gioco. Per anni il suo destino è stato legato al nostro calcio e probabilmente nel suo animo si sentiva anche un po’ italiano. Consiglio agli amanti di questo sport, soprattutto alle ultime generazioni di tifosi interisti, di andarsi a rivedere alcune sue giocate da cineteca. Lanci di 50-60 metri che cadevano sui piedi di Jair o Mazzola lanciati a rete. Dopo di lui, pochissimi altri centrocampisti al mondo sono stati in grado di ripetere simili prodezze. Con Luisito Suarez se ne va uno dei capisaldi di quella inarrivabile squadra, la prima in Italia a vincere nella stessa stagione Scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale. La Grande Inter fatto sognare e gioire migliaia di ragazzini ed io sono tra questi.