Sperticate lodi proferite dal presidente FIFA sui mondiali in Qatar. “È stato il migliore di sempre”. Non possiamo che chiederci: perché?
Di: Andrea Panziera
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Mentre scrivo, penso a come avrebbero commentato Siniša Mihajlović e Mario Sconcerti le parole di Gianni Infantino e immagino che non sarebbero stati molto d’accordo con le lodi sperticate proferite dal presidente della Fifa sui mondiali di calcio che si stanno concludendo in Qatar. “ E’ stato il migliore mondiale di sempre”, così lo ha definito il dirigente italo – svizzero nella sua ultima conferenza stampa. Domanda subitanea: perché? Le risposte che dà il nostro sono invero un misto di banalità, ovvietà e, mi sia consentito, palese impudenza. “Sono venute qui persone da ogni parte del mondo, tutti hanno capito che i pregiudizi verso la cultura araba non avevano ragione d’essere. L’eredità più importante di questo Mondiale è l’apertura reciproca di due universi che non si conoscevano ….. i qatarini hanno aperto le loro porte a tutti e chi è stato qui tornerà nel suo Paese e lo potrà raccontare, è una mutua comprensione fra popoli.” Also sprach il massimo esponente planetario del calcio , che si appresta a ricevere il suo secondo mandato per mancanza di competitors, o fors’anche grazie alla compiacenza e gratitudine, chissà quanto disinteressata, di questo nuovo mondo che ci era ignoto e che magicamente abbiamo scoperto in tutta la sua ineguagliabile magnificenza. Dunque, questa edizione sarebbe la più riuscita della storia per l’ arrivo di spettatori/visitatori ? a tale proposito riterrei quanto mai interessante un raffronto numerico con quelle precedenti, ma a naso non mi sembra che all’epoca gli Stati ospitanti e gli stadi, tra l’altro più capienti di quelli di Doha, fossero vuoti o che l’interesse degli appassionati a livello internazionale fosse minore. La scoperta di due mondi prima non dialoganti e la caduta benefica di ingiustificati pregiudizi ? Ma in realtà, quantomeno riguardo alla sfera del business, le barriere sono state infrante da un pezzo visto che i Paesi del Golfo, ed il Qatar tra questi, sono da decenni partner commerciali di tutto rispetto dell’emisfero occidentale, spesso con cifre in crescita costante ed imponente. Pregiudizi? Non mi è chiaro a cosa si riferisca Infantino. Le sue parole sulle morti dei lavoratori impiegati nella costruzione e nell’allestimento delle infrastrutture per i mondiali sono state un capolavoro di doppiezza: “Sì, sono stati 400 ed è una tragedia, ma solo 3 sono deceduti nella edificazione degli stadi, il resto in cantieri circostanti”. Mi sfugge il senso di questa puntuta precisazione, che mi ricorda vagamente una ferale classifica dei decessi per ordine di importanza. Decisamente più lineare la sua posizione riguardo il mancato rispetto dei diritti umani, ovviamente non solo in Qatar, con la proibizione a tutte le squadre di menzionare in qualsiasi forma la questione. “ La Fifa include 211 Paesi che in proposito hanno sensibilità assai diverse. Siamo un’organizzazione globale e non dobbiamo dividerci”. In altri termini, il calcio è un mondo a parte, in cui non sono ammessi comportamenti, pensieri o azioni, che non attengano in modo assoluto a quel contesto. Il giocatore deve lasciare negli spogliatoi il suo essere uomo. Ovvero scordarsi di essere anche parte attiva di un consesso decisamente ampio che si chiama umanità, la quale pare possieda una innata vocazione alla razionalità, una sua naturale inclinazione a distinguere ciò che è giusto dall’ingiusto, il bene dal male. Di conseguenza, dovrebbe attenersi solo al silente ossequio del complesso di regole imposte ad ogni militante pallonaro da quello strano organismo denominato Fifa. La quale, sempre secondo il suo presidente, ritiene che non sia legittimo turbare con manifestazioni seppur minimali, come l’esposizione al braccio da parte dei giocatori , di una fascia fuori ordinanza di richiamo al rispetto dei diritti civili, la vista e la sensibilità di uno spettatore che è lì solo per godersi 90 minuti di relax calcistico scaccia pensieri. Quindi, in nome della pluralità di culture e sensibilità, tanto care ai vertici del football, siano le benvenute anche le nazionali di Stati in cui si rischia di andare in galera o morire per un ciuffo che fuoriesce dal velo, che sopprimono “manu militari” il dissenso, che martirizzano i diversi. Di contro, siano vietati o multati pesantemente tutti i comportamenti non in linea con questa concezione decisamente farisaica dello sport, ma che garantisce un giro di miliardi che, lecitamente o meno, riempie le tasche di molti. D’altronde, Vespasiano lo aveva capito già 2000 anni fa, o sbaglio?