Una domanda che mi – e ci – angustia: quale persona sana di mente preferirebbe vivere in un contesto bellico piuttosto che in uno pacifico?
Di: Andrea Panziera
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A parte i guerrafondai in servizio permanente effettivo, i cultori dell’uso sistematico della forza come strumento di relazione fra le Nazioni ed i mercenari di professione, non riesco ad immaginare altri individui, fra quelli dotati di una dose seppur minima di buonsenso, che di fronte ai massacri di un qualsiasi conflitto armato non provino un sentimento di orrore e ripulsa. Quale persona sana di mente preferirebbe vivere in un contesto bellico piuttosto che in uno pacifico? Probabilmente neanche i produttori di armi, se il rischio implicito fosse quello di un loro diretto coinvolgimento con conseguente possibilità di dipartita. Per questa ovvia e invero banale considerazione trovo un po’ stucchevole e decisamente manichea la corsa verso la conquista del premio di “pacifista doc”. Tutti i raduni, i sit-in, le marce degli esponenti del c.d. Partito della Pace, forti della declamata nobiltà delle loro intenzioni, evitano quasi sempre di dare risposte ad alcune domande chiave, senza le quali ogni discorso ulteriore non ha alcun senso o peggio, quasi sempre implica oggettivamente delle conseguenze nefaste per l’aggredito ed avvantaggia l’aggressore. Non arrivo a pensare che dietro certe posizioni Pax – oltranziste si celi una precisa strategia, che conduce implicitamente ad avallare la tesi che il male minore (per chi ?) sia quello di accettare una pseudo – pace imposta dall’invasore potente. Non importa quello che è accaduto nel frattempo, la distruzione sistematica di città, villaggi ed infrastrutture, le torture, gli eccidi, i crimini di guerra, gli stupri, i massacri di donne ed anziani inermi. La tesi è più o meno questa: “Smettiamola di aiutare i soccombenti con l’invio di armi ed ogni altro strumento di difesa, perché così cesseranno le ostilità e finalmente arriverà la pace”.
Con varianti non molto diverse, è proprio questo il messaggio che arriva da qualche piazza e, strano a dirsi, non di rado la provenienza è bipartisan. Chi, nel passato, ha assistito alle storiche e imponenti mobilitazioni contro le guerre c.d. “americane”, ricorderà che lo spirito e le parole d’ordine erano alquanto diverse. La parte giusta con cui schierarsi era ben identificata e non erano ammesse ambiguità di alcun tipo: i distinguo, le cautele, le parziali giustificazioni venivano immediatamente interpretate come doppiezza, con tutto il discredito che ne conseguiva. Ho la netta sensazione che, per molte delle persone oggi inneggianti a questa nobile causa, l’idea di pace assomigli in modo speculare a quella di resa, quasi fosse una sorta di obbligo del più debole al fine di evitare catastrofi peggiori. Una specie di armistizio subito e promosso da entità terze, presumibilmente per salvaguardare qualche loro interesse, economico e non solo, con i più insinceri auguri alla dignità di un popolo, al suo anelito di libertà ed al suo sacrosanto diritto all’autodifesa. Agli “Agit-Prop no war” di ogni colore politico pongo tre semplici domande, alle quali finora non hanno dato alcuna risposta. Nell’ipotesi in cui l’Ucraina accettasse di cristallizzare le posizioni sul terreno ad oggi, rinunciando a quella parte del suo territorio tuttora occupato dai russi, chi dovrebbe farsi carico della ricostruzione della parte restante del Paese, il cui costo stimato per difetto è pari a qualche centinaio di miliardi di dollari ? Chi e in quale modo garantirebbe che in futuro non riaccada quello che è avvenuto a fine febbraio? Ed ancora, di fronte all’accertamento da parte dell’ONU di crimini di guerra perpetrati dagli invasori, cosa dovrebbe fare la Comunità internazionale? Allo stato, queste risposte sono fumose o inesistenti. Se perdurerà la loro mancanza, o saranno ritenute da qualsiasi punto di vista inaccettabili dal popolo ucraino, unico ed indiscutibile arbitro del proprio destino, mio malgrado continuerò a considerare quantomeno velleitarie, se non profondamente sbagliate od ipocrite, le manifestazioni di questi giorni e ad appellare “pacifinti” i relativi partecipanti.