In questa settimana e in quella che verrà, si porrà l’attenzione sugli utili societari. Salgono i tre indici USA, con close superiore all’1%

Di: Fabio Michettoni

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In questa settimana e in quella che verrà, si porrà l’attenzione, più che nelle altre, sugli utili societari. Anche
ieri abbiamo visto salire i tre indici USA con close superiore all’1%. Da contraltare alla forza dei mercati
statunitensi c’è la debolezza dell’ASIA, ma per questioni politiche date dall’egemonia cinese, oltreché da
una serie di valutazioni geopolitiche che continuano a pesare sui titoli tech asiatici da Taiwan a Hong Kong.

Negli Stati Uniti ed in parte anche in Europa, gli investitori sembrano voler evitare qualsiasi nuova
preoccupazione, concentrando l’attenzione sulla politica della Federal Reserve, con la crescente speranza (e
ribadisco il concetto speranza) che la Fed si stia avvicinando a una pausa negli aumenti dei tassi. Una pausa
sui tassi, o almeno la speranza di una pausa, potrebbe consentire agli investitori di concentrarsi sugli utili.

Questa settimana circa 165 società dello S&P 500 presenteranno gli utili, circa il 45% dell’indice. Nei
prossimi tre giorni i titoli più importanti saranno quelli delle grandi aziende tecnologiche.

Da questo punto di vista, finché gli utili continueranno a crescere, le previsioni di recessione non saranno
credibili. Se le previsioni, invece, inizieranno a essere tagliate in modo significativo, nel senso che saranno
peggiori, assisteremo quasi certamente a un’altra gamba al ribasso.

Al momento, però, è un mercato che continua in modo piuttosto evidente a tenersi aggrappato ai supporti
strategici e che il balzo di questi ultimi giorni non ha ancora permesso il superamento delle resistenze che,
solo sopra le quali, porrebbe fine allo spettacolare ribasso in atto dall’inizio dell’anno.

Le questioni da affrontare sono diverse. La prima è quanto il rialzo dei tassi attuato dalla FED danneggerà
l’economia, come effetto collaterale per combattere l’inflazione. Questa riflessione si impone perché la FED
è ben lungi dall’allentare i suoi sforzi di calmierare le potenzialità di spesa, aumentando i costi di
finanziamento.

Ulteriori aumenti dei tassi d’interesse, i cui effetti ancora non quantificati e percepire rispetto a quelli già
attuati, significano che c’è un basso grado di certezza sugli utili aziendali. Sebbene la maggior parte delle
società che hanno comunicato i risultati del terzo trimestre sia andata meglio di quanto previsto dagli
analisti, è probabile che gli utili dei prossimi trimestri siano inferiori a quanto previsto da Wall Street.

Nessuno sa di quanto. Un segnale negativo è dato dal fatto che le stime aggregate sugli utili del quarto
trimestre delle società dell’S&P 500 sono scese negli ultimi mesi, come in genere accade quando l’anno
volge al termine, ma non sono calate così tanto come accade storicamente. Per cui il mercato deve ancora
individuare il punto in cui l’attività economica e gli utili toccheranno il fondo.

Sarebbe utile se l’inflazione diminuisse, consentendo alla Fed di rallentare gli aumenti dei tassi di interesse,
ma gli ultimi dati economici sono stati scoraggianti. A settembre l’indice dei prezzi al consumo è aumentato
dell’8,2% rispetto a un anno prima, non lontano dal picco di poco più del 9% toccato qualche mese fa. I
futures sui tassi di interesse indicano che gli investitori si aspettano che la Fed aumenti il tasso di interesse
di riferimento a circa il 5%, dall’attuale dal 3,0%-3,25%.

Se l’inflazione e i previsti aumenti dei tassi della Fed dovessero scendere, almeno gli investitori saprebbero
che c’è un limite ai danni economici futuri, ma a peggiorare le cose, non è nemmeno chiaro se tutta questa
negatività sia già prezzata nel mercato azionario. Si può sostenere che non lo sia. Sebbene l’S&P 500 sia
attualmente scambiato a poco meno di 16 volte gli utili aggregati per azione che le società che lo
compongono dovrebbero produrre nel prossimo anno, in calo rispetto alle oltre 20 volte di inizio anno,
questo multiplo potrebbe dover scendere ulteriormente.

Questo perché il rendimento del debito del Tesoro a 10 anni è di diverse volte superiore a quello di inizio
anno e l’aumento dei rendimenti obbligazionari rende le azioni meno attraenti. L’attuale multiplo dell’S&P 500 significa che per ogni 16 dollari investiti nell’indice, un investitore ottiene un dollaro di guadagno, per
un rendimento del 6,2%.

Si tratta di soli 2,1 punti percentuali in più rispetto al rendimento a 10 anni, che non rappresenta una
grande ricompensa aggiuntiva per il rischio di possedere azioni piuttosto che un debito del Tesoro
ultrasicuro. Storicamente, l’extra rendimento dell’equity rispetto ai bond è di circa 4 punti percentuali, per
cui le valutazioni necessiterebbero di un’altra correzione per diventare più convenienti e comunque in linea
con la media storica.

Affinché i rendimenti obbligazionari scendano, ovviamente, i mercati dovrebbero avere maggiore fiducia
nel calo dell’inflazione e nel fatto che la Fed rallenterà presto l’aumento dei tassi. È necessario avere
pazienza.