Cercare di dividere il campo occidentale, scatenando una forte instabilità economico-sociale: è questa l’ultima arma rimasta a Putin?
Di: Andrea Panziera
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Spero che Federico Rampini, mio compagno di università nella seconda metà degli anni ’70, abbia ragione. La Russia sta bruciando il gas perché ha esaurito lo spazio nei siti di stoccaggio e l’unico metodo per evitare problemi agli impianti di estrazione è quello di distruggerlo. Non mi sento peraltro di escludere anche l’altra spiegazione, ossia che il Cremlino stia spingendo alle estreme conseguenze la sua politica di ricatto energetico: l’Europa sostiene l’Ucraina e Mosca riduce l’offerta di combustibile in modo che i prezzi crescano ulteriormente, perlomeno fino a quando a Bruxelles non verrà approvata una strategia comune per affrontare la questione. A ben vedere, questa è l’unica arma rimasta nelle mani di Putin. Cercare di dividere il campo occidentale, scatenando poco prima dell’autunno una forte instabilità economico-sociale, sperando che come conseguenza le forze populiste presenti nei vari Paesi UE raccolgano il testimone della protesta e allentino in maniera consistente il supporto militare e finanziario che le democrazie continentali hanno garantito in questi sei mesi al Governo di Kiev. Tale disegno trova infatti alimento nei buoni rapporti, dissimulati a fatica, fra il partito putiniano di Russia Unita ed alcune forze politiche europee, che fin dall’inizio del conflitto hanno assunto posizioni piuttosto ambigue, soprattutto, ma non solo riguardo le sanzioni nei confronti di Mosca e le forniture militari all’Ucraina. Orban and friends, la cui forza è direttamente proporzionale alla mancanza di una risposta comune dei diversi Stati riguardo alle misure da adottare per contrastare il rincaro del gas. In realtà Italia e Francia, con l’appoggio della Spagna, avevano condiviso un progetto di “price cap”, ma le dimissioni di Mario Draghi, tra le altre conseguenze, hanno oggettivamente indebolito questo disegno, dal momento che noi ne eravamo gli ideatori. Non vedo, fra gli attuali aspiranti alla poltrona di Palazzo Chigi, chi goda dello stesso prestigio dell’attuale Premier per poter convincere i nostri partner più riluttanti a percorrere la stessa strada. Su questo tema si sentono molti discorsi, la maggior parte dei quali andrebbero qualificati per quello che sono, ovverosia stupidaggini ad alto tasso di pericolosità. Oltre a queste, non mancano le accuse, completamente infondate, di inattività rivolte nei confronti dell’Esecutivo, che in tutta evidenza ha operato con maggiore solerzia ed efficacia rispetto agli altri Paesi europei. In questi mesi sono stati conclusi nuovi accordi con l’Algeria, con altri Paesi dell’area sub-sahariana, l’ Azerbaijan ed il Qatar, che hanno consentito di diminuire la dipendenza da Mosca dal 40 a meno del 20% del fabbisogno annuale. Per ridurla ulteriormente, vi è la necessità di far funzionare i rigassificatori, attraverso i quali possiamo ricevere gas liquido via mare da fornitori più lontani come Usa, Canada e Australia, ma in Italia attualmente ve ne sono solo tre e ne servono almeno altri due. E mentre a Ravenna non vi sono ostacoli per la sua realizzazione, per quello di Piombino c’è l’opposizione intransigente dell’attuale sindaco, che dice di avere il pieno sostegno della leader del suo partito, aspirante Premier. Altri accusano Draghi di aver fin qui lesinato i necessari sostegni economici a famiglie e imprese. L’immancabile proposta riparatrice è quella dello sforamento di Bilancio, ovvero la classica manovra colabrodo sui Conti Pubblici, a testimonianza di quanto l’insegnamento del passato non sia servito a nulla. La prima affermazione è del tutto falsa e viene palesemente sbugiardata dalle analisi di Centri Studi internazionali indipendenti, i quali dati alla mano dimostrano quanto segue: l’Italia ha speso finora 50 miliardi sotto forma di aiuti erogati a sostegno delle bollette, dietro soltanto alla Germania (60 miliardi). Ma in rapporto al Pil, si colloca al primo posto tra le principali economie, visto che gli interventi valgono il 2,8% del macro aggregato, rispetto all’1,7% della Germania e l’1,8% della Francia. Sulle ipotesi di deficit aggiuntivi ed altre consimili amenità mi sono espresso più volte. Non stupiamoci se poi i Mercati ridacchiano alle nostre spalle e mettono nel mirino il nostro Debito Pubblico. Purtroppo, certe alzate d’ingegno, che spesso connotano i menù della nostra classe dirigente, altro non sono se non la riproposizione a livello di rappresentanze istituzionali di una delle caratteristiche più negative dell’italiano medio, una sorta di virus collettivo che Tullio De Mauro ha definito come “ignoranza funzionale”. Tradotto, con riferimento ai requisiti di un leader o presunto tale, significa semplicemente la sua totale inadeguatezza rispetto al ruolo che ricopre o che intenderebbe acquisire . L’indagine OCSE di cui in tabella riporto le conclusioni e che ci vede al primo posto in questa non esaltante classifica, è sufficientemente esaustiva e questi numeri spiegano più di tante parole lo stato dell’arte e le probabili grosse incognite future.