Nazionalismo e sovranismo, due termini che esprimono sostanzialmente il medesimo concetto. Ma con una percezione differente…

Di: Andrea Panziera

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Se parliamo di nazionalismo, le menti più allenate e cogitanti abbinano immediatamente il termine a rimandi storici non proprio commendevoli, mentre se usiamo la parola sovranismo, sostanzialmente esprimiamo il medesimo concetto, in quanto di fatto sottende contenuti analoghi al primo, ma spesso la percezione di chi ascolta è differente.

Questo trova spiegazione nel fatto che tale locuzione, rispetto all’altra, possiede un indubbio pregio: la sua evocazione reca un indiscutibile e un po’ ruffiano richiamo al primo articolo della nostra Costituzione, che così recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Dunque , se ci si sofferma al suo involucro e non se ne approfondiscono le implicazioni del complesso portato, si è naturalmente indotti ad accettare e forse a condividere senza particolari obiezioni che una forza politica possa sventolare con convinzione la bandiera sovranista ed anzi, che questa azione funga da moltiplicatore del consenso. In realtà, una più attenta lettura dell’articolo succitato, al riguardo fornisce già una risposta piuttosto esaustiva e chiarificatrice: il popolo è sì sovrano, ma soltanto nelle forme e con i limiti stabiliti dalla Costituzione.

Quindi il “dominus” è proprio la Carta costituzionale, l’unica entità suprema che stabilisce le regole, traccia il perimetro del campo all’interno del quale tutti possono esercitare i loro diritti e devono adempiere ai loro doveri. Non a caso i Padri Costituenti ne hanno previsto la possibilità di revisione, ma solo sulla base di procedure assai complesse e in forza di un consenso molto ampio. Tra l’altro, una lettura del suo dettato non così partigiana o superficiale come spesso avviene, delinea in modo inoppugnabile il rifiuto di ogni tentazione di tipo nazionalistico, mentre al contempo prospetta in modo netto la sua intrinseca vocazione all’apertura verso la Comunità internazionale, ovverosia a quei Consessi nei quali è impossibile aderire senza una parziale rinuncia alla propria sovranità.

La sua visione rivolta al futuro e la indubbia modernità della scrittura si può cogliere anche in questo aspetto: chi la redasse più di 70 anni fa aveva ben chiaro che solo all’interno di un sistema consolidato di alleanze e cooperazione fra Stati democratici l’Italia poteva crescere e creare condizioni di vita migliori per la sua popolazione; che i vecchi paradigmi nazionalistici, a prescindere da quali fossero le loro vestigia, magari riviste e corrette per stare al passo con le mode, non avevano più alcun senso e che l’idea di coltivare in una sorta di splendido isolamento i nostri interessi e le nostre ambizioni era fuori dal tempo e dalla storia, oltreché destinata al fallimento.

Coloro i quali ai giorni nostri, in termini palesi o sottotraccia, straparlano di uscita dalla moneta unica, di ridiscussione dei trattati a suo tempo sottoscritti dai precedenti Governi, di richiesta di modifiche di alcuni recenti accordi comunitari (leggi PNRR), recano un danno enorme alla percezione di affidabilità che i nostri partner hanno nei confronti del sistema politico e istituzionale italiano. Questa perdita di credibilità, al pari delle sue nefaste conseguenze, si ripercuoterà inevitabilmente su tutti noi.

Non si può continuare ad ignorare che, se uno Stato è molto indebitato e da anni non riesce a migliorare la sua posizione finanziaria, il potere contrattuale di cui dispone sui mercati è molto scarso e diventa un “price taker” per tutti i suoi asset. E che le misure di salvaguardia predisposte in primis a nostro favore (leggi Scudo anti – Spread) sono, come è giusto, sottoposte a delle condizionalità. Perché le risorse, sebbene qualcuno finga di ignorarlo, di fatto provengono dalle tasche dei contribuenti di altri Paesi. Questa è la situazione e far credere che non sia così vendendo ai cittadini il miraggio di un fiume di spesa futura che non possiamo in alcun modo permetterci, oltreché truffaldino è semplicemente demenziale.

E’ vero, essere membri dell’Unione europea, aver aderito alla moneta unica, far parte della Nato, tutto ciò comporta una inevitabile cessione della nostra sovranità. Aldilà della battute da osteria (del tipo: dobbiamo battere i pugni sul tavolo!) c’è in giro qualcuno che ha da proporre un modello alternativo migliore, non paccottiglia elettorale ma verificabile con numeri certi? Se non è così, si tratta solo di chiacchiere, di fumo nocivo che per decenni ha intossicato le menti dei cittadini, i quali evidentemente ne sono sempre più dipendenti.

Quindi, dismettiamo le illusioni, le manie di grandezza, le ridicole posture sovraniste/nazionaliste e facciamo una volta per tutte i conti con la realtà. Per dirla alla Flaiano, da noi la situazione è sempre grave, ma mai seria. Da ultimo una nota, per così dire, di servizio, visto il mio ruolo di docente.

Da molti anni si dibatte sulla estrema povertà delle ore assegnate nei vari cicli scolastici all’insegnamento dell’Educazione Civica. La responsabilità va equamente divisa fra tutti gli attori che a vario titolo si sono occupati di Istruzione pubblica, ma nonostante i reiterati appelli ad una modifica dei programmi a favore di una sua maggiore e migliore inclusione, a tutt’oggi i progressi in tal senso sono scarsi se non nulli.

Forse, se si iniziasse sul serio a parlare di Costituzione, della sua lettera e del suo spirito, i giovani avrebbero qualche elemento di consapevolezza in più e qualche idea farlocca in meno.