Dopo giorni di costante “prima pagina” a cavallo del ritiro delle forze della NATO, dell’Afghanistan si parla sempre meno. Ma la questione è tutt’altro che chiusa
Di: Andrea Panziera
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Non era difficile pronosticare che, dopo giorni di costante “prima pagina” a cavallo del ritiro delle forze della NATO ed in concomitanza con gli assembramenti di una folla di disperati all’aeroporto di Kabul in cerca di un imbarco quasi impossibile, dell’Afghanistan si sarebbe parlato sempre meno. Bene ha fatto il premier Draghi a porre al centro del suo intervento da remoto al dibattito della 76esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la questione afghana, confermando che a breve si terrà nel nostro Paese un G20 straordinario sull’argomento. In proposito le sue parole non prestano il fianco ad equivoci di sorta sull’evolversi della situazione: “Stiamo assistendo allo smantellamento dei progressi degli ultimi 20 anni relativamente alla difesa delle libertà fondamentali, soprattutto per le donne”. Inoltre, “la situazione umanitaria è la più immediata e condivisa preoccupazione, anche per l’approssimarsi della stagione invernale. Secondo il World Food Programme, una persona su tre nel Paese è esposta a insicurezza alimentare”. Ed ancora, “il Vertice straordinario del G20 dovrà dare massimo sostegno a questi obiettivi. Occorre poi assicurare un accesso pieno, sicuro, senza ostacoli e senza condizioni alle organizzazioni internazionali e agli operatori umanitari impegnati nell’assistenza”. “La comunità internazionale – deve presentarsi coesa nell’esigere che tutti i cittadini afghani possano vivere in dignità, pace e sicurezza; che sia assicurata la tutela delle categorie vulnerabili; e che le donne mantengano i diritti fondamentali, primo fra tutti quello all’istruzione”. Queste parole accorate, queste preoccupazioni che scaturiscono dalle notizie sempre più allarmanti provenienti da quel martoriato Paese, rappresentano come meglio non si potrebbe una deriva economia, sociale e civile che sembra purtroppo l’inizio di una catastrofe umanitaria di proporzioni inimmaginabili. Il nuovo Esecutivo afghano, la cui composizione non garantisce in alcun modo il ben che minimo rispetto dei diritti fondamentali e che risulta tutt’altro che rappresentativo delle differenti componenti etniche e religiose presenti sul territorio, ha ad ogni evidenza già messo da parte le parole rassicuranti pronunciate dai suoi principali esponenti dopo la presa di Kabul. Il ritorno alla sharia nella sua interpretazione più rigida è solo uno degli aspetti che ne contraddistinguono l’operato. Di fatto alle donne sarà consentita solo l’istruzione elementare, perché il loro ruolo nella società non è quello di apprendere bensì di fare figli e per diventare “fattrici” non serve alcuna partecipazione alla vita sociale “extra moenia”. Al momento non si parla, perlomeno nelle dichiarazioni pubbliche, di ritorno alla pratica della lapidazione delle adultere, ma sussiste il fondato timore che anch’essa possa riprendere non appena si saranno spenti i riflettori dei media occidentali. Nel frattempo qualcuno propone la reintroduzione dell’ amputazione delle mani nonché delle esecuzioni pubbliche. “Le amputazioni punitive sono necessarie per garantire la nostra sicurezza interna“, ha dichiarato il mullah Turabi, già ministro per la Protezione della Virtù e la Persecuzione del Vizio, in una recentissima intervista. E’ proprio di oggi la notizia che nella piazza principale di Herat un uomo è stato ucciso ed appeso come monito ad una gru. Qualsiasi sia la gravità del reato commesso ( si parla di un tentativo di rapimento), l’ipotesi di un processo atto ad accertare lo svolgimento dei fatti pare non rientri fra le opzioni contemplate dal regime talebano; l’esecuzione pubblica, meglio se truculenta, sembra essere l’unico metodo conosciuto per amministrare la giustizia. Se tutto questo non fosse ancora sufficiente a far accendere l’allarme rosso, non va esclusa l’eventualità che, nella contesa sotterranea fra talebani moderati (ammesso e non concesso che ne esistano e si possano definire tali) e radicali (affiliati ad Al- Qaeda e all’ISIS), finiscano per prevalere questi ultimi, il che rappresenterebbe una minaccia non tollerabile per la sicurezza internazionale. In quel caso, il disastro della Caporetto occidentale assumerebbe i contorni più inquietanti.