Nell’odierno angolo di Eupalla, un focus sul Chievo Verona. Alla luce degli ultimi fatti, i “mussi” rischiano di scomparire dal calcio professionistico

Di: Andrea Panziera

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La storia – per molti versi unica e irripetibile – della squadra di quartiere di una città di medie dimensioni che al primo anno di presenza in serie A rischia di vincere clamorosamente uno scudetto sembra volgere al termine. Il Chievo Verona non è stato ammesso al Campionato di serie B e, a meno di miracoli dell’ultima ora legati al ricorso al Consiglio di Garanzia del Coni, sussiste la concreta possibilità che scompaia dal calcio professionistico.

Solo poche settimane fa, i clivensi erano in lotta per la promozione nella massima categoria, sfuggita a Venezia negli ultimi minuti dei tempi supplementari; e ora, se va bene, ripartiranno dalla serie D. Finiti i tempi gloriosi dei preliminari di “Cempions Lig” (come scrivevano i suoi tifosi), le 11 stagioni consecutive fra le big del calcio nazionale, facendo sempre un’ottima figura, rimangono un ricordo glorioso, ma doloroso.

Le autorità sportive hanno sentenziato che le rateizzazioni fiscali sull’IVA stipulate con l’Agenzia delle Entrate, poi sospese e rimodulate con un ulteriore accordo, costituiscono motivo per il declassamento nelle categorie inferiori. Probabilmente a prescindere dalla normativa tributaria in materia, che permetterebbe questo tipo di operazioni.

Tale pronunciamento, in questo caso, collide con l’interpretazione che della specifica fattispecie danno la società e i suoi consulenti fiscali; nondimeno, voci di corridoio raccolte nelle redazioni giornalistiche e i boatos che in queste ore provengono dalle stanze degli Organi sportivi inducono a un fondato pessimismo sulla conclusione della vicenda.

La situazione del Chievo e i dubbi di Eupalla

Lo confesso, in questi anni ho guardato con molta simpatia al fenomeno Chievo. Non nei termini di “una favola del calcio”, come spesso è stato definito; piuttosto, come la proiezione nel mondo pallonaro di un successo imprenditoriale di provincia. Una famiglia di industriali dolciari che crede nello sport e, con passione, acume e pazienza, costruisce una squadra competitiva. Non solo: che riesce persino a tenerla ben salda, per molti anni, fra le compagini più blasonate. Un modello, insomma, che ha suscitato interesse e curiosità in Italia, certo, ma anche in Europa.

Detesto la dietrologia e chi se ne fa interprete e non entro nel merito della possibile contrapposizione fra giustizia sportiva e normativa fiscale. Soprattutto in un periodo come questo, connotato da una situazione emergenziale che sta mettendo a dura prova i conti di quasi tutti i club. Tuttavia, se devo guardare alle motivazioni oggettive per le quali i gialloblu della Pantalona rischiano di scomparire dal panorama pedatorio nazionale, e se leggo i bilanci del 90% delle squadre in attività, mi sorgono dubbi e domande sulle motivazioni addotte per giustificare l’estromissione del Chievo e sulla loro congruità rispetto allo stato generale di salute del calcio nostrano (e non solo).

All’epoca, qualcuno disse che la società presieduta da Campedelli rappresentava un’eresia che a qualcuno poteva dare fastidio. So che a pensar male si fa peccato, ma… agli eretici era riservato il rogo. O no?