Sulla DAD, più discussioni che riflessioni. A far parlare è l’ennesimo escamotage anti-copia tutto artigianale: studenti bendati
Di: Sofiasole Scotti
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Un anno di didattica a distanza, o a “singhiozzo”, se consideriamo qualche breve rientro a scuola. Ma il tempo scorre e il peso della DAD inizia a farsi sentire. Studenti, insegnanti e anche genitori: tutti iniziano a percepire sempre più lo schermo come una barriera.
Come la scuola dovrebbe essere il luogo in cui si impara ad affrontare e superare gli ostacoli, così gli insegnati dovrebbero accompagnare gli studenti in un percorso di crescita tanto culturale quanto personale. Formare ragazzi di qualsiasi età significa portarli a credere in se stessi e nei loro obiettivi, tenere vivo il loro interesse e stimolarli al miglioramento. E questo giorno dopo giorno, ostacolo dopo ostacolo.
Trascorso un anno dall’inizio della pandemia, il ricordo dei sacrifici fatti è vivo e sempre più emerge il bisogno di un cambio di rotta. Ogni lavoratore ha dovuto stravolgere modalità di lavoro che prima sembravano le uniche possibili; ugualmente, gli insegnanti hanno dovuto ripensare se stessi, il loro modo di relazionarsi con gli studenti, le modalità di insegnamento. Forse un anno non è bastato, e forse non basterebbe tutto il tempo del mondo, per trovare un approccio che davvero funzioni e abbatta la barriera dello schermo.
I bizzarri metodi anti-copia della DAD
Dalle ispezioni virtuali della stanza, alla doppia telecamera per controllare i movimenti, alle posizioni improbabili da assumere per evitare qualsiasi tentativo di imbrogliare: sono la prova di come molti docenti, e in alcuni casi anche gli studenti stessi, non riescano ancora a interpretare la DAD nel modo corretto.
L’utilizzo di metodi per garantire la regolarità delle verifiche si può considerare normale, così come l’obbligo di mantenere attivi microfono e telecamera. Lo stesso vale per la scelta, operata da molti docenti, di sfruttare esclusivamente software o applicazioni sviluppate ad hoc per evitare distrazioni e tentativi di barare.
Il problema sorge quando gli insegnanti, complicando il tutto, sperimentano metodi improvvisati. Skuola.net ha chiesto agli studenti di raccontare le richieste più assurde ricevute dai docenti durante prove orali o scritte. Tra le più clamorose, quella di posizionare uno specchio alle proprie spalle e coprirsi gli occhi con le mani o una benda. Addirittura, alcuni vengono invitati a dare le spalle al computer o a fissare le pareti o il soffitto.
Simili metodi rappresentano una garanzia per il professore, che di solito conosce bene i suoi studenti, compresi i più furbi. Perché, siamo sinceri, i tentativi di copiare esistono da sempre e sono all’ordine del giorno anche quando la scuola si fa in presenza.
Così, mentre in passato gli studenti escogitavano bizzarri metodi per copiare, un anno di DAD ha ora “costretto” i docenti a escogitare bizzarri metodi homemade onde evitare che ciò avvenga. Ma se svolgere il proprio lavoro senza poter controllare fisicamente non è facile, bisognerebbe considerare anche la condizione dei ragazzi. Di fatto, studenti e docenti, al momento, condividono la stessa barca.
Tutta questione di fiducia
Sarebbe il caso di chiedersi come si sentano gli studenti a essere messi doppiamente in dubbio. Perché, quando dubita di loro, un professore non ne mette in discussione la sola preparazione accademica, ma anche l’onestà. E il tutto viene percepito dai ragazzi come un’ingente mancanza di fiducia.
Più in generale, però, sembra che la fiducia soffra particolarmente la pandemia. Questo virus non si limita a tenere le persone a distanza; rende ognuno di noi estremamente diffidente nei confronti del prossimo, che tendiamo a interpretare come possibile fonte di contagio. Una diffidenza che, in questo anno, si è lentamente insidiata tra le pieghe della quotidianità.
Il caso – non isolato – della liceale di Verona bendata durante un’interrogazione in DAD è un’immagine che esemplifica al meglio un sentimento ormai fin troppo diffuso. Lo sconfortante episodio, apparso sulle principali testate nazionali, ha aperto le danze a un acceso dibattito tra genitori, insegnanti e studenti. Ognuno con le sue ragioni, certo, ma nessuno con una soluzione.
La benda sugli occhi, insieme agli altri metodi poco ortodossi, non risolve la situazione. E non è un caso che queste “precauzioni” artigianali anti-imbroglio vengano spesso interpretate come un’umiliazione personale: di fatto, la diffidenza di un adulto verso i più giovani si trasforma in sfiducia del giovane verso gli adulti.
Bisogna tener conto, pur senza giustificare quando accaduto, che se la studentessa veronese ha tenuto una benda per il tempo dell’interrogazione, l’istituzione scolastica si trova al buio da un intero anno. Ancora a credere che lavagna e display possano essere la stessa cosa, ancora a trasferire in blocco dentro un computer tutto quello che si faceva bene, o male, in un’aula.
Oggi, sembriamo ben lungi dal comprendere che la tecnologia necessita di un approccio comunicativo inevitabilmente diverso rispetto a una conversazione faccia a faccia. La più grave mancanza, almeno finora, è stato forse il diniego di adattare le vecchie tecniche ai nuovi strumenti, come dimostra la carenza di approcci adeguati alle tecnologie scese in campo.