La morte, un tema che da sempre turba l’uomo. Vediamo come un pittore del XIX secolo e un filosofo dell’epoca di Nerone l’hanno affrontato
Di: Giovanni Pasquali
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La morte è un tema che ha sempre attanagliato l’uomo. Di fronte alla sua indomabile forza, egli non può che rimanerne sbigottito. Tuttavia, se esistono i vili, vi sono stati – e vi sono tutt’oggi – individui che hanno saputo ignorare tale spettro.
Di seguito, l’attenzione è rivolta a due esemplificazioni di quest’ultimo atteggiamento: l’una proveniente da un’opera del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich, l’altra proveniente da un filosofo del I secolo d.C., noto a tutti col solo nome di “Seneca”.
La consapevolezza di fronte alla morte
Le tre età dell’uomo è un dipinto a olio su tela di Friedrich, realizzato nel 1835 e conservato a Lipsia. L’opera raffigura un promontorio proteso sul Mar Baltico al tramonto. In questo aspro paesaggio sono raffigurati cinque individui, intenti a guardare altrettante imbarcazioni che si avvicinano alla riva.
Vi è un uomo anziano, Friedrich stesso, che rivolge le spalle all’osservatore e osserva l’orizzonte poggiandosi su un bastone. L’autore si autoritrae alla stregua di un vecchio perché si sente giunto al termine della sua vita. Significativo è l’abbigliamento, composto di un abito polveroso, fuori moda, e un berretto militare. Davanti a lui vi sono un giovane uomo, una donna e due bambini, uno dei quali tiene in mano una bandierina della Svezia, che rimanda alla terra di origine dell’artista.
Alle cinque figure il pittore contrappone altrettante navi. Le due più piccole alludono alla giovane età della coppia di bambini; le restanti, invece, si identificano idealmente nei tre adulti. Il veliero centrale, in particolare, rinvia all’anziana età di Friedrich, una riflessione sulla morte ulteriormente approfondita con l’inserimento di una barca capovolta sulla spiaggia.
Ma il mare è tutt’altro che agitato: è calmo. L’intero quadro, quindi, trasmette uno stato di calma e di quiete fisica e spirituale. Tale sensazione è enfatizzata dal comportamento disteso dei cinque personaggi, i quali non sono turbati. C’è chi si rallegra, da un lato, e chi contempla il paesaggio, dall’altro, sebbene attorno trovino posto elementi debilitanti, come la stessa barca rovesciata o i pezzi di legno a terra disposti a forma di croce.
La visione stoica della morte
Tornando indietro di quasi due millenni, nel 65 d.C. moriva il filosofo e politico romano Lucio Anneo Seneca, un grande intellettuale al potere durante l’impero di Nerone.
Seneca è ricordato per essere stato esponente dello stoicismo. Era fautore di principi come l’impegno nel mantenere salda l’imperturbabilità d’animo (atarassia). Ciò che perseguiva, e voleva fosse perseguito, era l’apátheia, ossia l’assenza di ogni affezione: il risultato di un austero e continuo autocontrollo che egli predicava in quanto convinto che le passioni fossero dannose.
Seneca definiva la morte qualcosa di ineluttabile, inaffrontabile se non attraverso la presa di coscienza che, prima o poi, sarebbe giunta e avrebbe portato tutto con sé. Gli stoici alienavano il pensiero sinistro di morire, autoconvincendosi che si perdesse quotidianamente una parte della propria vitalità ed essenza utile a permanere in vita. Secondo il pensiero senechiano, la “morte finale” sarebbe arrivata solo a tempo debito: di essa non vi sarebbe stato motivo di temere, perché ognuno ne sarebbe stato già assuefatto.
“In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praetĕrit; quidquid aetatis retro est mors tenet”.
“In questo infatti c’inganniamo, che vediamo la morte dinnanzi a noi: ma gran parte di essa è già passata (la morte), tutto il tempo che abbiamo alle spalle lo possiede la morte.”
– Lucio Anneo Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, Prima Lettera
Seneca si rivolge così a Lucilio, poeta di modeste condizioni, nella prima delle Epistulae morales ad Lucilium, intitolata nella traduzione L’uso del tempo. Gli rammenta che in ogni attimo il tempo va perso, al seguito esortandolo a ponderare le azioni e le decisioni, a tenere a mente che “è meglio vivere poco ma bene, anziché tanto ma in ozio”. Seneca auspica una graduale crescita morale nell’umile destinatario.
Il punto d’incontro
Parliamo di due ambiti diversi tra loro, di due periodi storici indubbiamente incompatibili; ciononostante, la riconducibilità trasversale di questi al tema del tempo – e, annesso, a quello della morte – trova largo spazio. Da una parte, i soggetti di Friedrich sono pacati, similmente al debole moto del mare, in una situazione che dovrebbe inquietarli per la compresenza di testimoni della fine del tempo. Dall’altra parte, gli esponenti dello stoicismo si mostrano allo stesso modo dinnanzi allo spauracchio della morte, consapevoli che si tratta di una porzione, quella terminale, della vita di ogni uomo.