Nel dubbio tra la libertà di sottrarsi al vaccino e la tutela della salute pubblica, Lampi News dà voce a Pietro Ichino, docente e affermato esperto di Diritto del Lavoro

Di: Andrea Panziera

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Qualche giorno fa, mi è arrivato su WhatsApp un simpatico e orecchiabile motivetto, che sin dal titolo esprime in modo esplicito la collettiva ingratitudine per l’anno che sta per terminare: “Vaff***ulo 2020“.

Il team di attempati cantori, gli Andropausa, elenca nella canzoncina in termini aihmé non ancora esaustivi tutte le disgrazie che ci sono capitate nei mesi scorsi. Ma essendo stata composta, credo, a inizio dicembre, non poteva prevedere i colpi di coda finali. L’aggravamento della crisi pandemica, soprattutto nella nostra Regione, per esempio; e, si spera da ultimo, due eventi sismici di notevole portata quasi alle porte di casa.

La buona notizia, almeno in via teorica, è rappresentata dall’arrivo delle prime dosi del vaccino Pfizer-BionTech e dall’inizio della sua somministrazione al personale medico e paramedico. A questo punto, sarà importante verificare se, fatta la tara a qualche inevitabile ritardo nella consegna delle dosi, causa maltempo diffuso o per intoppi vari non preventivabili e non imputabili a nostre carenze organizzative, tutto filerà liscio e le nostre strutture sul territorio si dimostreranno in grado di eseguire le procedure vaccinali in modo efficace e veloce.

Una social(e) idiozia

Se il buongiorno si vede dal mattino, mi viene da pensare che la strada per la conquista della famosa “immunità di gregge” sia lastricata di difficoltà. Difficoltà che purtroppo prescindono dalla risposta, che auspico e credo positiva, dei centri medici deputati alla inoculazione del farmaco.

Non mi riferisco tanto agli insulti via social di qualche mentecatto rivolti alla prima infermiera vaccinata. Né alle nostre inveterate abitudini della politica polemizzante, pratica questa da cui pochi sono immuni e che spesso trova pretesti risibili o viepiù molesti. Imbastire critiche asperrime e moraleggianti nei confronti di un governatore di una Regione che si sottopone alla vaccinazione, accusandolo di aver sottratto ad altri il diritto di precedenza, ignorando che in ogni Paese al mondo tutti i capi politici hanno fatto lo stesso a mo’ di esempio per l’intera popolazione, significa essere a corto di idee e di argomenti di confronto seri.

Quello che preoccupa davvero è un altro aspetto, ovverosia il rifiuto da una parte tutt’altro che marginale di infermieri e operatori socio-sanitari di farsi vaccinare. Se i dati riportati dalla stampa sono veri, e non esistono validi motivi per dubitarne, i dipendenti riluttanti in molte Case di Riposo sarebbero addirittura la maggioranza degli addetti all’assistenza degli anziani.

Le domande di Lampi News e l’intervento di Pietro Ichino

Rebus sic stantibus, si pongono inevitabili alcune domande. Anzittutto, chi di noi, nelle more dell’avvio della somministrazione generalizzata, lascerebbe a cuor leggero il proprio genitore in un luogo in cui il personale incaricato della sua cura è un potenziale portatore del contagio?

E ancora, tralasciando ora ogni altra considerazione di tipo etico e deontologico, è ammissibile da un punto di vista giuridico un simile atteggiamento ?

E, di conseguenza, sussiste in questi casi la “giusta causa” come motivo legittimo di licenziamento?

Il parere di Pietro Ichino, docente universitario e affermato esperto di Diritto del Lavoro, non lascia molti margini al dubbio:

“Chiunque potrà rifiutare la vaccinazione; ma se questo metterà a rischio la salute di altre persone, il rifiuto costituirà un impedimento oggettivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro».

O ti vaccini o ti licenzio?

«Sì, perché la protezione del tuo interesse alla prosecuzione del rapporto cede di fronte alla protezione della salute altrui».

E la libertà di sottrarsi ai trattamenti, tutelata dall’articolo 32 della Costituzione?

«Quella norma contiene due principi: prima sancisce quello di protezione della salute di tutti, poi prevede la libertà di scelta e di rifiuto della terapia. Ma quando la scelta di non curarsi determina un pericolo per la salute altrui, prevale la tutela di questa”.

Ogni ulteriore commento, a questo punto, mi sembra superfluo. E qualsiasi obiezione cede il passo alla salvaguardia della vita delle persone più fragili.