Un Fondo europeo da 500 miliardi, il passo avanti nel sostegno dei Paesi contro la crisi economica del Covid-19. Ma, si sa, noi siamo il paese dei paradossi

Di: Andrea Panziera

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L’evento clou dei giorni scorsi è sicuramente la videoconferenza tra la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Presidente francese Emmanuel Macron. Una videoconferenza nel corso della quale hanno proposto la creazione di un Fondo europeo da 500 miliardi di euro, finanziato da emissioni di Titoli di Debito comune, con il quale aiutare i Paesi ad uscire dalla crisi economica causata dalla pandemia di COVID-19.

Se non si parla esplicitamente di Eurobond, comunque questo progetto gli assomiglia molto. Nelle prossime settimane bisognerà dunque capirne in maniera più dettagliata i contorni, le modalità di funzionamento e la possibilità di discuterne o meno i limiti quantitativi.

Il passo avanti del fondo europeo…

Quello che invece appare fin d’ora abbastanza chiaro sono due aspetti. In primis, rispetto alla vaghezza e inconcludenza delle discussioni finora tenute in tutti i Consessi europei, siamo di fronte a un passo in avanti piuttosto significativo nella direzione della costituzione di uno strumento operativo che riconosca la diversità dell’impatto della pandemia sui sistemi economici dei Paesi del Vecchio Continente. Uno strumento, inoltre, che calibri gli indispensabili interventi di sostegno alla ripresa sulla base delle effettive necessità di ogni singolo Stato, non parametrando il quantum esclusivamente sul contributo al Bilancio comunitario dello Stato medesimo.

…e il suo funzionamento

In secondo luogo, l’eventuale dotazione finanziaria di questo Fondo proverrà da risorse raccolte dalle Istituzioni europee, probabilmente la Commissione, e garantite dal Bilancio delle medesime in vigore dal 2021 al 2027. Ciò consentirà di sfruttare l’elevato rating di cui esse godono sui Mercati, spuntando tassi di interesse molto bassi. In termini operativi, qualora fosse confermata una simile ipotesi di lavoro, i titoli verrebbero emessi e rimborsati dalla Commissione Europea; e questa utilizzerebbe i versamenti al suo budget dei singoli Stati membri, che come è noto sono proporzionali al loro PIL.

Interpretando le parole di Merkel e Macron, l’erogazione dei contributi ai Paesi richiedenti non sarà basata su questo criterio; la ripartizione verrà invece commisurata all’effettivo stato di necessità di ogni singola Nazione. In altri termini, Stati come Italia e Spagna, particolarmente colpiti dalla pandemia, potranno ricevere risorse percentualmente molto superiori al loro apporto al Bilancio comunitario.

È molto probabile che il calo del nostro spread rispetto al Bund di questi ultimi giorni sia correlato a tale proposta. Non è del tutto chiaro quali saranno le modalità di restituzione, se vi saranno elargizioni a fondo perduto e la loro eventuale quantità. In ogni caso, parliamo di un orizzonte temporale di medio-lungo termine.

Fondo europeo e fiscalità europea

Un altro particolare emerge con chiarezza. I due leader hanno fatto esplicito riferimento alla possibilità di introdurre una qualche forma di fiscalità europea per finanziare i futuri fabbisogni del Fondo. Questa scelta andrebbe decisamente verso una prima parziale cessione di sovranità da parte degli Stati membri a favore di una Unione più strutturata.

La testimonianza della portata “rivoluzionaria” della proposta del duo franco-tedesco si è immediatamente palesata nelle reazioni dei Paesi contrari a qualsiasi ipotesi di mutualizzazione dell’onere degli interventi. Dopo pochi giorni, infatti, Austria, Olanda, Danimarca e Svezia hanno bocciato senza mezze misure quel progetto, aprendo al massimo alla creazione di un Fondo di Emergenza “temporaneo e una tantum, limitato a soli due anni, per sostenere, cito testualmente, “la ripresa economica e la resilienza dei settori sanitari”, con il quale finanziare chi ne farà richiesta mediante l’erogazione di prestiti a tassi favorevoli.

Quindi, niente condivisione dei rischi, niente contributi a titolo gratuito e precise condizionalità nella destinazione e nell’utilizzo del danaro. In altri termini, questi prestiti dovranno essere concessi solo a condizione che vi sia un forte impegno alla effettuazione di riforme il cui stato di avanzamento andrà verificato step by step. Il tutto senza aumentare in modo significativo la dotazione del Bilancio comunitario. Ergo, no ad ogni ipotesi di ulteriori versamenti e/o all’introduzione di forme di nuova fiscalità sovranazionale.

Fondo europeo: un limite

Questo, ad oggi, lo stato dell’arte. Non è difficile immaginare che non sarà impresa agevole conciliare le due posizioni, anche perché non tutti i Paesi si sono espressi chiaramente e quindi la conta definitiva non è ancora stata fatta. Un discorso a parte meritano le reazioni della nostra classe dirigente, quella politica in primis, ma non solo, che una volta di più dimostra quanta distanza permanga fra le enunciazioni e la successiva coerenza nei comportamenti oggettivi.

Premetto che personalmente individuo l’unico limite significativo nella proposta Merkel-Macron nella dimensione quantitativamente contenuta della dotazione del Fondo. Probabilmente, essa non è sufficiente ad attuare interventi che incidano in modo significativo su una situazione economica molto deteriorata. Nondimeno, sempre restando in attesa di un quadro d’assieme più definito, non ho molti dubbi nel riconoscere che si tratta di un buon passo in avanti nella direzione di una condivisione degli oneri da noi sempre auspicata. Peraltro, senza che alcun distinguo politico o partitico facesse sentire la sua voce contraria.

Il Paese dei paradossi

Quelli che venivano casomai posti nel mirino, spesso da schieramenti contrapposti, erano gli eccessi rigoristi delle Istituzioni europee a trazione franco-tedesca, dimenticando che se Mario Draghi non avesse retto le sorti della BCE dal 2012 in poi , sicuramente con decisioni non penalizzanti nei confronti dell’Italia, verosimilmente oggi racconteremmo un’altra storia. Ma, si sa, noi siamo spesso il Paese dei paradossi e non di rado facciamo finta di ignorarli; anzi, talvolta persino ne meniamo sfacciatamente vanto.

È bastato ventilare l’ipotesi, tutta da definire, che in qualche modo venisse preventivamente valutato l’ammontare dei danni provocati dalla pandemia prima di concedere i danari richiesti, che subito qualcuno ha gridato al trappolone, al complotto contro le italiche genti, alla supervisione della trojka sotto mentite spoglie. Insomma, dateci i soldi e fidatevi di noi, non trattateci da sudditi e tantomeno da taroccatori. Volete una garanzia? Che finalmente provvederemo a fare le riforme strutturali (burocrazia, enti inutili, tempi della giustizia, etc.) promesse da tempo immemore e mai avviate? Questa, state sereni, sarà la volta buona e fate buon viso se, parafrasando l’Aida, alla fine lo Stato ritorna imprenditor.

Un entusiasmo giustificabile?

Tre miliardi per Alitalia? Più o meno altrettanti, se non di più, per salvare aziende decotte e prive di qualsiasi prospettiva di mercato? Chiudete un occhio, anzi entrambi, perché, badate, senza di noi crolla tutta l’impalcatura europea. E poi, alla bisogna possiamo fare anche da soli . Avete notato l’incredibile successo dei BTP patriottici? Con l’emissione di maggio abbiamo raccolto la stessa cifra che ci avreste dato col MES; eppure, abbiamo dimostrato che possiamo fare da soli.

E cosa volete che siano trecento milioni di euro annui di maggiori interessi di fronte a questa poderosa manifestazione di italico orgoglio? Sommessamente mi e vi chiedo: ma 300 milioni di euro, che diventano 1,5 miliardi a scadenza, giustificano davvero tutto questo entusiasmo? Poi, non merita riflessione e spiegazione il paradosso della vicinanza fra i Paesi accaniti oppositori della concreta applicazione della solidarietà fra Stati con alcuni settori del nostro schieramento politico, che reputano del tutto inadeguata per difetto la proposta franco-tedesca? Infine, quale Istituzione finanziaria raziocinante darebbe soldi, in tutto o in parte senza oneri, non prestando alcuna di attenzione rispetto al loro utilizzo, a prenditori, diciamo così, un po’ pasticcioni?

Il problema non è la negazione dello “spirito di Ventotene”. Quel nobile Manifesto non era in alcun modo un inno alla dissipazione delle risorse comuni della futura Casa Europea. Inoltre, in nessun vocabolario il termine solidarietà è sinonimo di irresponsabilità.

Da ultimo, mi sia consentito un caro ricordo alla memoria di Alberto Alesina, prestigioso economista italiano e docente ad Harvard, scomparso in questi giorni. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e apprezzarlo nell’Università dove entrambi abbiamo studiato.