A seguito delle partite della Nazionale, i tifosi hanno mostrato un entusiasmo tale da divenire presto causa di aggressività
Di: Giovanni Pasquali
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L’Italia degli Europei
La festa nazionale, con gli Europei 2020, ci ha mostrato il rovescio della medaglia per quanto concerne la tifoseria. Nelle città e nei piccoli centri, da Nord a Sud, si sono susseguiti disordini, scontri ed episodi a dir poco folli.
Si consideri, ad esempio, quanto successo a Cuneo: protagonisti di un violento frontale un veicolo e uno scooter, trovatosi malauguratamente sulla strada della vettura che girava in piazza. Oppure, si guardi a Cagliari, dove un rider è stato preso a calci in strada mentre stava facendo il suo lavoro: per passare, non vi era altro modo, se non attraversare la folla; ebbene, chi gli era attorno se n’è approfittato, buttandolo a terra e bacchettandolo col tricolore.
Questi esempi sono l’avvilente dimostrazione di cosa sono stati capaci i tifosi dopo la vittoria contro la Spagna. La domanda sorge dunque spontanea: perché trasformare l’entusiasmo per la qualificazione alla finale in violenza? Ci si potrebbe chiedere, altresì, come la vittoria della propria squadra possa rendere le persone così aggressive. Un contesto destabilizzante quasi quanto un’ipotetica situazione in cui l’esito, però, è l’opposto: la squadra perde e non prosegue nel torneo.
Coerentemente con l’ambito della psicologia sociale, si potrebbe parlare di ipotesi catartica. Secondo questa, agire aggressivamente ha efficacia significativa per ridurre la collera e tornare a una condizione di equilibrio. La collera è dovuta a uno stimolo che provoca frustrazione, che ci pervade finché non riusciamo ad esternarla.
Il comportamento in un gruppo di tifosi
La soluzione, per inibire la frustrazione, è ridurre la forza dell’agente che la provoca. Tuttavia, se ciò non è possibile, ci si rivolge a qualcosa o qualcuno più vulnerabile – nel caso dei tifosi, chi stava loro attorno. Ecco che il rider, la polizia municipale e altri cittadini sono divenuti il capro espiatorio di persone stressate, libere di sfogare la propria euforia.
Un gesto snodato, indubbiamente ingiustificabile, ma psicologicamente plausibile, nella misura in cui un’elevata densità di persone può indurre un comportamento aggressivo. Le persone tendono a sentirsi anonime, quindi meno responsabili delle proprie azioni. La folla rappresenta uno schermo dietro il quale non serve giustificare la violenza che si mette in atto, che sia verbale o fisica.
Evidentemente, il fatto che la partita si sia conclusa ai rigori ha acuito la tensione di tutti, con la conseguente – e fragorosa – esplosione di emozioni. Tali emozioni, per quanto concitate e plausibili, arrancano a trovare una giustificazione moralmente valida. A riprova di questo, sbigottiscono, soprattutto, le condizioni delle varie città italiane nei giorni a seguire.
Caroselli, fuochi d’artificio e cori, infine, hanno fatto da scenario in tutto il Paese alla vittoria dell’Italia contro l’Inghilterra. Gli eccessi della tifoseria mostrano un suo lato spiacevole, che incrina la coesione coi connazionali. Abbiamo assistito a scene raggelanti, ree di lasciare il proverbiale “amaro in bocca”: incutono timore e nutrono la paura nei confronti dei tifosi.
Il che si dimostra paradossale, in quanto i tifosi sono i primi coi quali, generalmente, si creerebbe una coesione per una causa comune, come se si fosse un tutt’uno. I primi che ci capirebbero, se ci sentissimo amareggiati per una sconfitta calcistica. E i primi che esulterebbero con noi, se assistessimo a un’altra straordinaria vittoria.