Una casa soffocata da mille oggetti buttati qua e là alla rinfusa; scrivania e cassetti che traboccano di scartoffie; il desktop del computer affollato di file; ma anche un’agenda ingestibile, una cronica propensione al ritardo o, peggio ancora, a dare “buca” agli appuntamenti. Sono innumerevoli i modi in cui si può esprimere la tendenza al disordine cronico.
Di solito i disordinati cercano di difendersi contrapponendo il loro caotico vivere all’ordine dei “precisini” e si giustificano dicendo che si tratta della manifestazione di una personalità geniale e creativa. La verità è, spesso, diversa:non solo perché in quella confusione non vivono poi tanto bene, ma anche perché questa può celare disagi che hanno a che vedere con la loro percezione di sé e del loro ruolo nel mondo. Il disordine è una spia di un modo di essere che prende le distanze da responsabilità, sacrificio e impegno, che siamo invece tutti chiamati a mettere in pratica ogni volta che, nel quotidiano, dobbiamo catalogare non solo le diverse incombenze, ma anche le emozioni e i pensieri stabilendo delle priorità. Le persone disordinate, al contrario, tendono a mescolare ogni cosa in un presente indistinto.
Volendo cogliere il lato positivo di questo atteggiamento, si può dire che i disordinati cronici si lasciano sempre aperta la possibilità di leggere e rileggere la realtà, senza incasellarla mai in uno schema preciso. Rimettere costantemente in discussione ogni cosa, però, può anche essere la spia di una volontà di tutelarsi dai conflitti non
prendendo mai una posizione definitiva. In molti casi i disordinati sono persone che, durante l’infanzia, non sono riuscite a metabolizzare in modo adeguato emozioni negative, per esempio il rapporto conflittuale con qualche figura familiare. Anziché essere accettate ed esternate, queste emozioni sono state represse e si sono trasformate in rabbia: un sentimento che, per definizione, non è finalizzato, e che può emergere sotto forma di caotica gestione della propria esistenza. Molto spesso il disordine altrui irrita le persone perché sembra esprimere poco riguardo nei loro confronti. Che cosa può pensare di noi un amico se lo accogliamo in un appartamento sporco e trascurato? Che cosa può provare un partner o un collega se tardiamo sempre agli appuntamenti? La sensazione sarà quella di non essere rispettati.E qui si torna su un punto debole della persona disordinata, che non ha considerazione di nessuno perché, ancor prima, non ne ha per se stessa.Teme, inoltre, di doversi prendere degli impegni, oltre che di rispettare regole indispensabili per far sì che i rapporti con gli altri siano vivi, nutriti da cura e rispetto reciproco. Questa tendenza alla fuga dagli impegni che una relazione comporta, del resto, si riflette in una delle frasi più pronunciate dai disordinati “Non toccate la mia roba! Io nel mio caos trovo tutto”. Ciò significa chiudere le porte a qualunque intervento esterno per gestire le proprie cose esclusivamente in prima persona.
Il disordine non è una malattia ma lo diventa se assume pesanti conseguenze sulla vita quotidiana: se, ad esempio, una persona inizia a non lavarsi, a non presentarsi al lavoro, ad accumulare in modo seriale e compulsivo acquisti.
Se la situazione non è così grave è possibile migliorarla ricorrendo a qualche semplice strategia. Innanzitutto, anziché concentrarsi contemporaneamente ma in modo superficiale su più impegni si può provare ad ordinarli nel tempo. In secondo luogo bisogna abituarsi a cercare il bello in tutto, si tratti di oggetti o incombenze: questo aiuterà a
operare una selezione, a tagliare il superfluo e a concentrarsi su ciò che davvero conta. Per la stessa ragione è utile imparare a sorprendersi. Nel disordine tutto è scontato e indistinto. Lasciarsi rapire dalle caratteristiche di una persona, di una cosa, di un’attività fa riattivare desideri e pulsioni, e insegna a compiere scelte, perché ogni volta che si sceglie il disordine diventa ordine. Anche chi vive accanto ad un disordinato può aiutare a cambiarlo richiamando la sua attenzione sulle sue doti rafforzando quell’autostima che scarseggia.
Mariapia De Carli