L’ONB, Opera Nazionale Balilla, colmava ciò che la scuola non ricopriva: un ruolo di arruolamento, atto alla formazione militare dei giovani
Di: Giovanni Pasquali
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In un contesto come quello attuale, ho deciso di rievocare il ricordo dell’istruzione al tempo di Benito Mussolini, in quanto trovo significativo lo stacco da un’educazione obbligatoriamente impartita, negli anni ’20 e ’30 del Novecento, a un insegnamento che predilige la solidarietà collettiva e la libertà di prosecuzione degli studi. Gli studenti possono fare una scelta, senza subire alcuna coercizione.
Il pugno di ferro fascista
Il 1923 segnò il passaggio dal liberalismo al fascismo. Il governo di Mussolini ratificò la riforma scolastica di Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione, fondata sul primato della cultura umanistica. L’attenzione verteva attorno all’elaborazione autonoma di un pensiero critico e si avvaleva di criteri fortemente selettivi.
Vennero ripresi aspetti della vecchia Legge Casati riguardo l’accesso all’università: solo i diplomati del Liceo classico avrebbero potuto frequentare tutte le facoltà universitarie; invece, i diplomati del Liceo scientifico avrebbero avuto accesso alle sole facoltà tecnico-scientifiche.
Nel suo complesso, la riforma stabiliva un collegamento fra scuola e partito, con possibile obbligo di frequenza della prima.
Negli istituti, l’attenzione era rivolta alla militarizzazione del comportamento degli alunni, conseguita attraverso l’adozione nella vita scolastica di simboli filo politici già radicati nella realtà extra scolastica. Assieme alla scuola, la fascistizzazione degli italiani e delle italiane, dai 6 ai 18 anni, era affidata a diverse organizzazione giovanili, tra cui vi era l’Opera nazionale balilla (ONB).
Che cos’era l’ONB?
L’ONB fu un’organizzazione fondamentale per l’assistenza e per l’educazione fisica e morale della gioventù. Aveva il compito di preparare fisicamente e psicologicamente i giovani in vista di impegni militari e di migliorare la gestione del tempo libero, con l’aggiunta di attività dedite al regime.
L’organizzazione, definita anche caserma, non si sostituiva alla scuola; le si affiancava come suo completamento. Inizialmente, si occupò di bambini dagli 8 ai 14 anni (i “balilla”) e dei ragazzi dai 15 ai 18 (gli “avanguardisti”). In seguito, dal 1933, a fronte della forte aspirazione a voler avvicinare gli individui allo Stato il prima possibile, riconosciuta la loro stoffa di futuri soldati, l’ONB spinse ad anticipare a sei anni il limite per l’arruolamento. A quell’età, i bambini già indossavano un prototipo di divisa.
Mussolini si presentava ai giovani non solo come un capo e un condottiero, ma anche come un padre. Il governo sapeva, infatti, che la scomparsa o la lontananza del padre era un problema tanto attuale quanto ragguardevole. Così, cercò di colmare questo bisogno di paternità attraverso la figura più autorevole e protettiva possibile: quella del Duce.
L’influenza mussoliniana
La sua immagine era onnipresente. La si poteva notare sulle copertine dei quaderni, sulle cartoline, in moltissime fotografie che lo ritraevano a cavallo (suo ritratto ufficiale) oppure in numerosi esempi riportati sui libri di scuola. Uno di questi – il più eclatante – fu il caso dell’alfabeto, nel quale alla lettera “M” si trovava non solo la parola “mamma”, ma anche il nome “Mussolini”, con un suo disegno.
Per sedurre l’infanzia, il regime le offrì, inoltre, un precoce richiamo alle armi. Fornì divise militari e l’avvicinò a un crudo gioco della guerra, come mai alcun bambino avrebbe potuto immaginare. “Un gioco autorizzato, anzi, organizzato dallo Stato”, si diceva.
Consegnare un moschetto a un bambino, intorno agli 8 anni, fu una trovata intelligente e carica di fascino agli occhi dei neofiti. Tuttavia, rappresentò una grande presa di responsabilità. Fu concesso di usare armi a soggetti del tutto impacciati e inesperti, dei quali gli ufficiali si presero la custodia, evitando inconvenienti.