Con la diffusione di Internet, dei social e delle varie app di messaggistica, il reato di diffamazione può ora configurarsi anche in caso di conversazione telematica
Di: Simone Massenz
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Che cosa si intende quando si fa riferimento al reato di diffamazione? L’articolo 595 del codice penale, primo comma, riporta che “Chiunque, […] comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro”. Ciò significa, brevemente, che il reato scatta nel momento in cui un soggetto utilizza frasi ingiuriose tali da ledere la reputazione di un altro soggetto in presenza di più persone.
Ma oggi, nella cerchia della diffusione di Internet, dei social network e delle varie app di messaggistica, come si configura un simile reato? Soprattutto, ci domandiamo: si configura anche nell’evenienza di una conversazione telematica?
La risposta è sì. La diffamazione comprende anche le conversazioni on-line, quelle tipicamente messe in atto attraverso applicazioni quali Whatsapp, la chat di Facebook, di Instagram, e così via. In merito, la Cassazione ha chiarito le condizioni alla base di tale reato: in primis, l’assenza del soggetto offeso; dopodiché, la presenza – fisica o virtuale – di due o più persone.
Non configura la diffamazione, dunque, un messaggio inviato tramite chat da una persona a un’altra; nondimeno, la configurano 1) un messaggio inviato in un gruppo ove siano presenti più soggetti, 2) un messaggio inviato dallo stesso soggetto a più persone. In altri termini, secondo la giurisprudenza, perché si riscontri diffamazione è necessario che il presunto colpevole denigri l’altrui reputazione in una chat con due o più persone o in due o più chat singole.
Diffamazione via WhatsApp: il caso Poor Thing
Affidiamoci ora a un esempio concreto. Poniamo il caso di un soggetto, che a ben ragione chiameremo Poor Thing, intento a denigrare la reputazione di un altra persona, il fittizio Max Better. Poor Thing, chattando con sei individui diversi, afferma – parafrasando e tralasciando il turpiloquio – che Max Better è uno “sciupafemmine”, un essere squallido, senza morale, una bestia senza cervello da tutti odiata e disprezzata. In aggiunta, Poor, sebbene non abbia mai intrattenuto alcuna conversazione di persona con Max, racconta alcuni falsi e tendenziosi aneddoti su di lui, inerenti ad azioni che avrebbe compiuto un anno addietro.
Nonostante i sei individui gli consiglino di smettere di denigrare Better “alle spalle” e di rivolgersi direttamente a lui, Poor Thing non demorde. Al contrario, rincara la dose, aprendo altre sei chat e ricoprendo di vari insulti anche loro.
Non uno, ma due commi
Il reato di diffamazione, in tal caso, si configura? Procediamo per gradi:
- Poor Thing ha offeso la reputazione di Max Better? Sì;
- Poor Thing ha comunicato con più persone? Sì;
- Max Better era presente? No;
- Max Better subirà ripercussioni a causa di simili offese? Sì (Basti pensare, ad esempio, a quanto la sua immagine possa uscirne compromessa agli occhi di chi non lo conosce se non attraverso le parole di Poor Thing).
Ma c’è di più. Il reato commesso da Poor Thing, il quale ha trattato, tra i vari insulti, un’azione specifica di Max, comprende altresì la violazione del secondo comma dell’articolo 595:
“Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro”.
Indubbiamente, qualora Max Better decidesse di procedere legalmente, la vita di Poor Thing subirebbe un brusco scossone. Cosa potrebbe fare Max? Anziché raggiungere Poor e vendicarsi personalmente, egli dovrebbe depositare una querela presso la stazione dei Carabinieri o direttamente in tribunale. A questo punto, il PM avvierebbe le indagini, tenendo conto 1) delle prove di tali conversazioni – screenshot di WhatsApp, messaggi vocali, ecc. – e 2) della testimonianza di almeno uno dei componenti delle varie chat, che possa dichiarare di aver letto la conversazione e, quindi, di averne preso parte.
Attento, Poor Thing
Le “chiacchiere social”, a prescindere da quale piattaforma o app le permetta, possono essere mezzo e luogo di diffamazione. Non mi resta dunque che sconsigliarvi di agire come il summenzionato colpevole: chiunque siate e qualunque cosa facciate nella vita, evitate i Poor Thing e di comportarvi come i Poor Thing.