Non è più solo tempo di domande. Ora è il momento di risposte, possibilmente semplici, brevi ed esaustive
Di: Andrea Panziera
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Mai nel passato si è sentita la necessità di fare chiarezza su una serie di quesiti che sempre più pressanti vengono posti dai nostri concittadini. Se si generalizzano alcuni commenti, i like, gli interventi che si leggono sui social e non solo, si può trarre una conclusione senza tema di smentita: la confusione regna sovrana.
Molti dicono di sapere, ma non hanno letto i documenti ufficiali o non li hanno capiti. Chi, magari da posizioni politiche/istituzionali, dovrebbe avere l’esatta cognizione del famoso “stato dell’arte” spesso manipola la verità pro domo sua. Oppure, peggio ancora, propone soluzioni quantomeno discutibili. Come recita il titolo di questo modesto contributo alla chiarezza, non è solo tempo di domande, ma anche e soprattutto di risposte semplici, brevi ed esaustive.
Domande e risposte: argomento MES
Penso che tutti ne abbiano sentito parlare, ma per esperienza personale posso affermare con certezza che le idee sono spesso parziali e confuse. Il Meccanismo Europeo di Stabilità è stato ratificato a metà del 2012. Nondimeno, questo atto altro non fu che il terminale meramente formale di trattative e accordi iniziati nel 2010 e conclusi l’anno successivo. Tralascio tecnicismi per addetti ai lavori, così come la discussione, spesso speciosa, sulla sua revisione, che negli ultimi 2 anni è stata oggetto di una battaglia politica fondata sul “quasi nulla”.
Utilizzato una sola volta nel salvataggio della Grecia, il MES ha come ragion d’essere proprio quella di intervenire in soccorso dei Paesi dell’area euro in difficoltà finanziarie estreme. Prevede inoltre alcune condizionalità: nello specifico, che un Organo terzo sottoponga a vigilanza lo Stato beneficiario degli aiuti per la verifica dell’adozione di politiche di risanamento e rientro dal debito.
Conclusione: chi oggi rinnega tout court il MES dovrebbe ricordare quale era la sua posizione non nel 2012, ma nei 2 anni precedenti. In breve, quando fu oggetto di una prolungata e praticamente conclusa trattativa. In via del tutto teorica, soli in Europa, avremmo potuto “ribaltare il tavolo” nei primi mesi del 2012. Ma chi ha buona memoria ricorda che all’epoca la nostra forza contrattuale era prossima allo zero. Con uno spread oltre 500 punti base, eravamo a un passo dal default finanziario, un dato che sgombra il campo da ogni altra considerazione.
Perché in questi giorni si riparla di MES?
Perché si tratta di uno degli strumenti che verosimilmente saranno utilizzati per consentire l’uscita dall’emergenza sanitaria. Ogni Paese richiedente riceverà un finanziamento non superiore al 2% del PIL a tassi nulli o quasi. Importante: questi crediti non saranno soggetti a condizioni se non allo scopo per cui vengono concessi.
Per l’Italia si tratta di circa 36 miliardi di euro, a fronte dei 14 versati al momento della sua costituzione. Per quale motivo minimamente razionale dovremmo rifiutarli ? Altra questione. L’adesione al MES in questa forma e finalità inibisce il ricorso ad altri eventuali strumenti economici di cui si sta discutendo in questi giorni, oltre a quelli già anticipati dalla Commissione e dalla BCE, necessari per sostenere i massicci investimenti indispensabili per uscire dalla crisi post Covid 19? Assolutamente no. Chi afferma il contrario nella sostanza chiede di rinunciare a una somma importante o perché è in malafede oppure perché, avendo venduto un’idea del MES negativa a prescindere, oggi si trova in grave imbarazzo a innestare una marcia indietro difficile da motivare.
Ma di cosa ha bisogno l’Italia per far ripartire il suo motore produttivo?
Senza girarci troppo attorno, la possibilità di chiedere ai Mercati risorse a lungo/lunghissimo termine a tassi bassissimi. Questo è fattibile, visto l’ammontare del nostro Debito Pubblico e il conseguente nostro basso merito creditizio, con la garanzia degli altri Stati a titolo gratuito. Ipotizzando un prestito totale di 300 miliardi di euro di durata trentennale, sulla base degli attuali tassi di Mercato il costo implicito per la Germania sarebbe di circa 25 miliardi e per l’Olanda più o meno di 5. Di questo si tratta quando si parla di Euro o Corona Bond: mutualizzare (mettere in comune) l’onere del debito, favorendo chi sui Mercati ha meno credibilità (come noi) e penalizzando chi ne ha di più (i Paesi del Nord Europa).
Il Santo Padre invoca giustamente la solidarietà cristiana per chi si trova in difficoltà ed è giusto che sia così. Uno statista, o un politico che ambisce a diventarlo, ha il dovere della chiarezza e magari anche della verità. Un’ultima considerazione. Un crollo finanziario dell’Italia avrebbe ripercussioni non indifferenti anche nei sistemi economici dei nostri riottosi partner del Nord, non solo per il loro export. Al tavolo negoziale, senza travalicare nel ricatto, bisogna adeguatamente mettere in campo certe argomentazioni. Rimanendo ben consapevoli, però, che senza Europa non si va da nessuna parte. Certo, a meno che il popolo non si persuada a sottoscrivere in massa obbligazioni perpetue lombardo-venete, garantite dal Duomo o dalla Basilica di San Marco, da lasciare in eredità come titolo scripofilo alle future generazioni.