Creato il primo neurone artificiale, un piccolo chip in silicio in grado di riprodurre l’attività del neurone naturale. La ricerca segna un punto di svolta nella lotta contro le malattie neurodegenerative

Di: Simone Massenz

Una promessa, quella di divenire una futura arma contro le malattie legate alla degenerazione delle cellule nervose, prima fra tutte l’Alzheimer. È quanto emerge dall’articolo esposto in Nature Communications, che attesta alla ricerca coordinata da Alain Nogaret – condotta con le Università di Bath, Zurigo e Auckland – l’invenzione del primo neurone artificiale in silicio. Fanno parte del gruppo anche gli italiani Elisa Donati e Giacomo Indiveri.

Inseguiti da tempo, i neuroni silicei sono il frutto del lavoro della cosiddetta medicina bioelettronica, il cui scopo consiste nel riprodurre circuiti e processi naturali mediante l’apporto e l’utilizzo di materiali artificiali. Le cellule nervose sinora create, che prendono a modello i neuroni dei ratti, spalancano le porte a ulteriori sviluppi. Secondo quanto dichiarato dai ricercatori (fonte), i neuroni hanno da sempre rappresentato una sorta di scatola nera per la comunità scientifica; nondimeno, oggi ci è finalmente possibile guardarvi all’interno. La ricerca, a detta di Nogaret, non può quindi che “cambiare un paradigma”, permettendo di riprodurre in dettaglio le proprietà elettriche delle cellule nervose.

Come funziona un neurone artificiale?

I neuroni artificiali ricalcano l’attività dei neuroni naturali, ossia ricevono, elaborano e trasmettono segnali nervosi. Nello specifico, la loro funzione consiste nel riprodurre i canali ionici, le sequenze di proteine situate sulla superficie delle cellule. Come fossero semplici finestre, queste consentono il passaggio delle sostanze dall’esterno all’interno della cellula. Inoltre, il consumo energetico dei chip, che corrisponde a circa un miliardesimo dell’energia di un microprocessore, lascia ipotizzare che la loro effettiva applicazione non sia poi tanto lontana.

Al momento, i ricercatori hanno imitato la funzione di due categorie di cellule nervose: da un lato, quelle adibite al controllo della respirazione e del ritmo cardiaco; dall’altro, quelle presenti nell’ippocampo. Per quanto riguarda il primo gruppo, il malfunzionamento neuronale conduce per lo più alla formazione di disturbi come l’aritmia. Nel secondo caso, invece, eventuali danni coinvolgono la sfera della memoria. L’ippocampo è per l’appunto la parte del cervello responsabile della formazione delle memorie esplicite – dichiarativa e semantica – e della trasformazione della memoria a breve termine in quella a lungo termine.

L’Alzheimer

La rappresentazione grafica di un cervello PRIMA e DOPO l’avvento del morbo di Alzheimer

La malattia di Alzheimer, detta anche morbo di Alzheimer o demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer, rappresenta la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante. Essa esordisce prevalentemente in età presenile, ossia oltre i 65 anni. Descritta per la prima volta nel 1906 da Alois Alzheimer, la patologia presenta come sintomo iniziale la difficoltà nel ricordare eventi recenti. Con l’avanzare dell’età – e la conseguente progressione -, il morbo induce afasia, disorientamento, cambi repentini dell’umore, depressione e disturbi comportamentali. Il soggetto è quindi portato a un progressivo isolamento nei confronti della società, nonché alla perdita delle capacità mentali basilari. Sebbene la causa primaria sia ancora ignota, i sintomi sembrano correlarsi alla formazione di placche amiloidi e ammassi neurofibrillari, principali responsabili della morte dei neuroni.

Considerate queste premesse, è dunque possibile comprendere appieno le potenzialità dei neuroni artificiali. Tra le applicazioni, infatti, Nogaret ipotizza anzitutto la creazione di un pacemaker intelligente, strumento che, utilizzando i chip, aiuterebbe il cuore a battere con regolarità. In secondo luogo, nel caso dell’Alzheimer e delle malattie neurodegenerative in generale, il chip potrebbe assurgere alla funzione dei neuroni naturali, sostituendo le cellule stroncate dal morbo. Tutto ciò, almeno per il momento, non resta che un’ipotesi, ma rappresenta senza dubbio un notevole passo avanti nella lotta contro le malattie neurodegenerative.