In questi giorni stiamo assistendo ad una ventata di ottimismo sull’andamento a breve-medio termine della nostra economia che non si percepiva da anni
Di: Andrea Panziera
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In questi giorni stiamo assistendo ad una ventata di ottimismo sull’andamento a breve – medio termine della nostra economia che non si percepiva da anni. Ed in effetti i recenti dati sul PIL e su gran parte degli altri indicatori macro sono sicuramente positivi, in buon numero superiori alle aspettative di qualche mese fa. Ormai molti parlano espressamente di una crescita che a fine anno potrebbe raggiungere il 6%, di indici di fiducia in costante e consistente ripresa, di un Mercato del Lavoro che sembra aver superato le fasi critiche del post-pandemia. Ma forse sarebbe il caso di prestare maggiore attenzione ai dati, pur nella innegabile attestazione degli evidenti progressi di questi mesi e del rinnovato clima di apprezzamento a livello internazionale riguardo al percorso intrapreso dal nostro Paese con l’Esecutivo Draghi. Come recentemente sottolineato dal Ministro Franco a Cernobbio, non è stata ancora recuperata la situazione pre Covid, anche se i segnali indicano che potremmo colmare il gap già nel primo semestre 2022. Venendo alla performance dell’ultimo trimestre, il + 2,7% è ascrivibile in gran parte all’incremento delle spese per consumi delle famiglie (2,6%), mentre il contributo della PA risulta negativo per uno 0,2%. Un valore positivo viene registrato dagli investimenti (+0,5%) così come dal saldo della bilancia commerciale (+0,3%). L’aggregato che fa quadrare i conti attiene alla variazione delle scorte (-0,8%), cosa di per sé tutt’altro che negativa, dal momento che il ripristino del magazzino sarà foriero di nuovi acquisti e quindi metterà carburante al trend della crescita. Breve commento: siamo in presenza di un consistente rimbalzo del PIL, trainato prevalentemente dai consumi delle famiglie, ma se si usa come termine di paragone l’analogo periodo del 2020 non bisogna in alcun modo prescindere dall’assunto che all’epoca si era in pieno lockdown, con tutte le conseguenze relative a questa situazione. Un ulteriore dato su cui riflettere concerne il confronto fra l’incremento del PIL e quello della produttività. Se per quest’ultima prendiamo come parametro il numero delle ore lavorate, constatiamo che esse sono aumentate del 20,8% rispetto al + 17,3% del Reddito Lordo reale. Conclusione: il maggior lavoro non si è tradotto in una crescita economica della stessa misura, il che significa la persistente condizione di un deficit di produttività, soprattutto nei settori in cui l’utilizzo della tecnologia è più in ritardo. Sempre con riferimento al recente intervento del Ministro Franco al Forum Ambrosetti di Villa d’Este, alcune variabili storicamente critiche per il nostro Paese (leggi Deficit e Debito) potrebbero risultare leggermente migliori del previsto, pur permanendo su livelli di gran lunga superiori a quelli della maggior parte dei nostri partner europei. A questo proposito può risultare estremamente interessante procedere ad una veloce disamina delle linee guida dei PNRR (Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza) dei principali Stati europei, allo scopo di evidenziarne la differente impostazione in funzione di obiettivi tutt’altro che omogenei. Questo a prescindere dalle cifre assegnate a ciascuno, molto divergenti fra loro, con l’Italia a fare la parte del leone, anche se è bene ricordare che ben oltre la metà dei contributi erogati a nostro favore sarà a titolo oneroso, pur con tassi di interesse inferiori a quelli normalmente praticati sui nostri titoli di debito. Il nostro Governo ha adottato una linea di indirizzo differente rispetto a quella dei maggiori partner continentali. È stata redatta una lista di progetti di investimento suddivisa in 16 componenti, a loro volta raggruppati in 6 missioni. Queste riflettono e rispondono ai vincoli posti dalla UE per l’ottenimento dei contributi /finanziamenti. In pratica traducono in interventi concreti la volontà dichiarata di realizzare le riforme strutturali delle quali si parla da anni, la cui mancata attuazione è il vulnus che ha frenato per decenni il nostro sviluppo economico. La caratteristica peculiare del PNRR tedesco è senza dubbio la spiccata attenzione per le tematiche ambientali. In Germania da molto tempo il dibattito pubblico riserva una particolare attenzione a questo argomento, come dimostra la forza relativa del movimento verde – ecologista. Altro tema spesso all’ordine del giorno è la riconversione dell’industria pesante, che da sempre ricopre un ruolo importante nell’economia tedesca. E a questo obiettivo verrà destinato oltre il 40% dei fondi europei in arrivo. Per quanto concerne la Francia, sono stati individuati tre grandi macro settori, che si ripartiranno in percentuali quasi identiche i miliardi del Next Generation EU: 30 % all’ambiente, 34% alla innovazione, digitalizzazione e competitività, 36% per inclusione, formazione e sanità. Impostazione differente e per molti aspetti interessante è quella adottata dalla Spagna. Uno dei punti cardine adottato dal Governo di Madrid è quello della lotta allo spopolamento delle campagne, un problema su cui si discute da tempo e che colpisce soprattutto la parte centrale del Paese. Per frenare questo esodo è previsto lo stanziamento del 16% delle risorse disponibili. Percentuale più o meno analoga sarà quella destinata al comparto della Sanità. Quelle poc’anzi evidenziate sono solo le principali differenze in termini di impiego delle risorse stanziate tra i PNRR dei maggiori Paesi UE. Ma ad ogni evidenza ne esiste un’altra, che è bene tenere sempre ben presente, e che attiene alla scelta primigenia sulla quantità e tipologia dei capitali richiesti. L’Italia, unico fra i grandi Stati europei, ha domandato quanto più possibile mentre altri hanno preferito limitarsi alle scelte meno impegnative nel medio – lungo periodo in termini di impatto sui Conti Pubblici, optando spesso per i soli trasferimenti “a fondo perduto”. Una tale decisione implica evidentemente un disegno strategico ed una visione di prospettiva molto chiari, che si potrebbero sinteticamente tradurre con queste parole: “scommetto che il tasso di crescita sarà percentualmente superiore all’onere del debito”. Auguriamoci che questa convinzione trovi conferme in modo continuativo, perché in caso contrario, stanti gli attuali livelli di deficit e debito, i guai non tarderebbero ad arrivare e sarebbero molto seri.