La trattativa sul Recovery Fund, un accordo tanto lontano quanto improbabile. Il mare è mosso e il moto ondoso non può che aumentare

Di: Andrea Panziera

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Che la trattativa sul Recovery Fund (alias Next Generation EU ) sarebbe stata difficile era previsione largamente condivisa. Quindi, non stupisce che, mentre scrivo, a poche ore dalla conclusione del vertice dei 27 Capi di Governo a Bruxelles l’accordo sia molto lontano, allo stato – secondo le notizie che filtrano poco prima della cena conclusiva – abbastanza improbabile.

A nulla sono servite le differenti bozze di mediazione messe sul tavolo dal Presidente del Consiglio europeo Michel e appoggiate dalla Cancelliera Merkel e da Emmanuel Macron. I Paesi autodefinitisi frugali, capitanati dal Premier olandese Mark Rutte, non sembrano disposti a concessioni di sorta rispetto alla annunciata linea di intransigenza. Certo, se non rispetto ad aspetti marginali che in ogni caso delineano una versione del piano di interventi molto diversa da quella originale, che prevede una forte riduzione degli importi erogati “a fondo perduto”, e introducono condizionalità di carattere sostanziale relativamente ai meccanismi di concessione dei fondi. Addirittura viene chiesto il potere di veto in capo ad uno solo dei Paesi membri qualora questo non trovasse di suo gradimento il pacchetto di riforme presentato dallo Stato percipiente.

Recovery Fund: nell’Italia (non) abbiamo fede

È inutile girarci attorno. Al di là delle schermaglie, delle tattiche, delle posizioni coperte che mandano avanti altri per non esporsi in prima persona, delle fruste disquisizioni di stampo meramente ideologico sull’etica calvinista rigida e utilitaristica dei “frugali” a cui si contrapporrebbe la nostra economia sociale di mercato con al centro il valore della solidarietà, il problema vero è uno solo: per quanto riguarda il Recovery Fund, dell’Italia un non marginale gruppo di Nazioni europee non si fida.

Si teme che, come spesso accaduto in passato, le buone intenzioni e i relativi provvedimenti non trovino poi concreta attuazione nei fatti. Si teme che le note e necessarie riforme sulla giustizia, sulla burocrazia, sull’adozione di misure idonee ad accrescere la produttività rimangano progetti annunciati e teoricamente in rampa di lancio, ma mai veramente portati a compimento.

Il fatto stesso che ci siamo presentati a Bruxelles senza un programma di interventi dettagliato, ma solo con dichiarazioni generiche su come intendiamo spendere la quantità considerevole di quattrini che reclamiamo, ci ha posto oggettivamente in una posizione di estrema debolezza contrattuale. Oltretutto, alcune recenti vicende, e non mi riferisco solo alla controversa questione Autostrade, il cui esito finale si presta alle interpretazioni più discordanti e sulla quale mi riservo di ritornare non appena i numeri reali e le operazioni di Mercato ne chiariranno appieno il risultato, non rafforzano la nostra credibilità agli occhi di chi, visti i precedenti, ci considera un osservato speciale.

Una richiesta ostica da accettare

Con quale chance di successo si può chiedere di essere il maggior beneficiario di sovvenzioni “a fondo perduto”, i cui controlli sul loro utilizzo paiono invero assai poco incisivi, quando quasi in contemporanea decidiamo di destinare altrettante risorse a favore di autentici buchi neri come Alitalia? Buchi neri che, nella fattispecie, al contribuente sono già costati quasi 10 miliardi di euro e per i quali ne sono previsti a breve altri 3.

È innegabile che in tutti i sistemi economici post-Covid il peso dello Stato assumerà una valenza superiore rispetto alla situazione precedente; nondimeno, la strada che l’Italia si appresta a imboccare va nella direzione di una rinazionalizzazione di interi settori, non solo quello dei servizi. E pretendere che questo avvenga anche e soprattutto con i quattrini dei nostri partner europei, senza che questi possano efficacemente verificare come vengono spesi questi fondi, rappresenta una richiesta ostica da accettare.

Oltre il Recovery Fund: la questione MES

La nostra posizione appare difficilmente difendibile anche per altre considerazioni, che non sfuggono a politici navigati come Rutte o la stessa Merkel. Una per tutte, l’avversione per di più incomprensibile sull’utilizzo del MES. Se, come è vero, la pandemia ci ha colpito forse più degli altri e abbiamo un bisogno quasi disperato di danaro in tempi brevi, perché rifiutare sdegnosamente il ricorso a uno strumento immediatamente disponibile? Perché storcere il naso davanti a uno strumento che, a tassi praticamente nulli, ci garantirebbe nel giro di poche settimane oltre 35 miliardi di euro?

Delle due l’una: o stiamo bluffando e non vero che i soldi ci servono hic et nunc (falso, come dimostra la querelle sul rinvio a settembre delle scadenze fiscali e relativi pagamenti per oltre 8 miliardi, che vista la attuale situazione di crisi delle entrate fiscali non ci possiamo permettere) oppure la nostra classe politica nella stragrande maggioranza dei suoi componenti non si rende conto che senza l’aiuto della BCE, la quale ogni giorno continua a comprare a piene mani i nostri BTP, ci troveremmo senza tema di smentita in una condizione di pre-default analoga a quella del 2011, con uno spread a livelli stratosferici.

Il mio timore

Lascio al giudizio delle persone dotate di raziocinio, di un minimo di obiettività e capacità di analisi, affermazioni “destituite di ogni numerico fondamento” sull’Europa matrigna, affamatrice dell’italico popolo, etc. Stupidaggini ad usum delphini, buone per eccitare gli animi, a cui guarda caso non segue mai un consequenziale piano di euro-exit strutturato, dettagliato nelle strategie e nei numeri, credibile nelle prospettive e nella creazione di rapporti internazionali più vantaggiosi di quelli attuali.

Lo confesso, nutro un timore che spero ardentemente rimanga tale e non si materializzi in atti concreti. È una paura di cui già nei prossimi giorni potremmo avere evidenza. Visto che, come andiamo sempre sbandierando in ogni consesso dove si parla di necessità di riduzione del debito pubblico, ci facciamo forti del nostro ingente risparmio privato come argomento tranchant da contrapporre ai nostri interlocutori maldisposti, in caso di esito negativo del vertice qualcuno potrebbe essere tentato di rinviare la data del successivo ad autunno inoltrato. Tanto, argomenterà, in caso di necessità possiamo sempre far ricorso alle conclamate disponibilità del soccorso patriottico dei nostri piccoli o grandi investitori. O no?