La “diplomazia del mercimonio” trumpiana e il progressivo smantellamento dell’ordine liberale occidentale che ha retto l’Occidente per decenni

Di: Andrea Panziera

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Come possono facilmente intuire i lettori, il sottinteso del titolo non inerisce ad un improbabile sequel del celeberrimo film con un nuovo protagonista, bensì rimanda alla ormai nota e peculiare “filosofia operativa” dell’inquilino della Casa Bianca, che replica il verso di quella indimenticabile canzoncina il cui refrain era “con un poco di zucchero la pillola va giù”. Ebbene, nelle scorse settimane il cenerino platinato tycoon ha fornito prove tangibili di come si possa tradurre in decisioni politiche pratiche la ferrea sinergia fra affari personali e l’asserito, ma del tutto inesistente, interesse nazionale.

La visita a Washington di alcune settimane fa di una ben assortita delegazione elvetica, portatrice di un ramoscello d’ulivo commerciale, che si è materializzato in un Rolex da 100.000 $ e in un lingotto d’oro da un chilo, ha magicamente contribuito a rasserenare i rapporti fra gli Stati Uniti e la Svizzera, facendo contestualmente scendere i dazi del 10%. “Con un congruo presente il tributo scende giù”, giusto? Sarà un caso, ma solo i ciechi e gli allocchi possono ignorare la circostanza che per trattare tutte le questioni internazionali più delicate, dalla Casa Bianca vengono spediti nelle Cancellerie dei vari Stati il giovane genero di Trump (sotto indagine per reati finanziari) ed il sodale amico affarista. Questione di fiducia nei suoi emissari, qualcuno obietterà.

Siccome la famosa locuzione di Giulio Andreotti rimane scolpita a imperitura memoria nella storia della politica ( a pensar male si fa peccato ma spesso non si sbaglia), verrebbe da dire che la prassi trumpiana ha riabilitato in termini non equivoci la c.d. “diplomazia del mercimonio”, con buona pace di tutti coloro i quali ostinatamente continuano a sostenere che gli Stati Uniti tutt’ora costituiscono il nostro più importante alleato.

L’attempato tycoon, sempre più spesso ripreso sonnacchioso negli incontri con i suoi consiglieri (a proposito del suo noto “sleeping Jo” affibbiato al suo predecessore) , ha finalmente e definitivamente chiarito le sue vere intenzioni nei confronti degli ormai presunti alleati europei e la sua ordalia verso i principi e valori delle nostre democrazie liberali: ossia contribuire in maniera che non lascia spazio alcuno ad equivoci o interpretazioni , al loro rapido e definitivo dissolvimento.

Tutti coloro i quali, per assonanza ideale, ovvero convenienza politica, continuano a proclamare che gli USA rimangono comunque il nostro principale interlocutore internazionale se ne facciano una ragione, anche se per far rinsavire costoro forse non basterebbe nemmeno fargli riportare a memoria una famosa citazione di Honoré de Balzac, che io ho leggermente ma non sostanzialmente modificato: “Chi si nutre di ambizione si immagina al culmine del potere, ma intanto si umilia nel guano del servilismo”. Come ben sanno i lettori, non è nelle corde di questo giornale e del vostro umile scriba attribuire patenti di credibilità o proferire giudizi su personaggi o movimenti politici; tutte le opinioni, anche le più controverse, vacue, prive di riscontri oggettivi, insostenibili o in qualche caso anche demenziali, meritano comunque rispetto ed a nessuno deve essere vietato di esternare il suo pensiero. Ma su alcuni punti saldi, pur con tutta la buona volontà, non è possibile deflettere.

A scanso di equivoci e possibili fraintendimenti, faccio mie le parole di quella che, secondo la stragrande maggioranza del popolo italiano, incluso il sottoscritto, è riconosciuta come la voce più autorevole della Nazione: “Ricordo che il principio non può essere quello che muovere guerra serve per fare la pace: è qualcosa di paradossale. Il controllo della corsa agli armamenti, in particolare di armi di distruzione definitiva come quelle nucleari, aveva conosciuto risultati significativi.

Nel contesto attuale, si rende necessario ribadire con forza che l’uso, o anche la sola concreta minaccia di introdurre nei conflitti armamenti nucleari appare un crimine contro l’umanità”. Queste frasi, pronunciate dal Presidente Mattarella, significano ad ogni evidenza chiamare le cose con il loro nome, senza giri di parole, infingimenti, scorciatoie o ipocrisie mal dissimulate. In Italia, ma non solo da noi, quando si nomina Trump ed il suo rapporto con Putin, spesso si usano termini che vanno ben aldilà della doverosa cautela, presupposto necessario nei giudizi politici e nei rapporti con i partner o presunti tali.

Certe prese di posizione non configurano solo il tentativo, a volte invero maldestro, di indorare le numerose pillole amare che il tycoon sta cercando di farci ingerire con le buone o con le cattive. Costituiscono un espediente per distrarre l’attenzione da tutto ciò che la direzione e le decisioni della new policy a stelle e strisce sono diventate per i valori, i principi e la way of life dell’occidente, per come li abbiamo conosciuti negli ultimi 80 anni. Negare che esiste una conclamata rotta di collisione fra le nostre democrazie e ciò che esse rappresentano, con il trumpismo, sia per quello che dice ma soprattutto per quello che fa, ha come unico tangibile risultato quello di indebolire ulteriormente un’ Europa che forse per troppo tempo si è cullata sull’illusione di un equilibrio mondiale fatto di alleanze consolidate e inossidabili, di regole e rapporti codificati e rispettati da tutte le parti in causa.

La risposta di Trump possiamo riassumerla in un brutale e volgare “de profundis” a questa ormai affossata convinzione: “kiss my ass”. Anche i più stupidi dovrebbero, ma forse pecco di ottimismo, aver compreso un non trascurabile particolare; l’inquilino della Casa Bianca vuole indebolire l’Europa e per questo sta puntando tutte le sue carte sul più classico e vecchio espediente politico, ossia il “divide et imperat”, con il supporto dei suoi lacchè più fedeli, Ungheria e Slovacchia, nonché quello dei partiti sovranisti sparsi nei vari Stati dell’Unione.

Lo pseudo trattato di pace scritto al Cremlino e fatto proprio più o meno per intero dall’amministrazione americana, con evidenti lacune anche nella traduzione dal russo all’inglese, le prese di posizione stizzite contro le Nazioni europee schierate al fianco di Kiev, hanno fuor di ogni ragionevole dubbio un unico e ben evidente obiettivo: rafforzare la Russia, farla apparire il prima possibile come la forza vincitrice del conflitto, per sottrarla alla dipendenza economica sempre più ferrea e condizionante della Cina.

In questo disegno strategico, che implica incidentalmente anche il futuro sacrificio di Taiwan, l’Europa non rappresenta più un alleato decisivo, ma un ex partner da indebolire nelle sue aspirazioni di integrazione ulteriore. Un’ultima, ma non marginale, annotazione. La schiera composita del nostro variegato fronte “pacifinta”, che si diletta in posizioni fra il patetico e l’ipocrita del tipo “la UE ha fallito, facciamo condurre il negoziato agli USA … o non mando i miei figli in guerra per pagare i cessi d’oro dei leader ucraini corrotti” (in Ucraina i corrotti vengono perseguiti dalla Giustizia, in Russia chi denuncia la corruzione viene defenestrato o invitato ai party a base di Novichok) non ha ancora proferito verbo sull’unica proposta sensata per porre termine al conflitto.

Proposta che garantirebbe di rispettare la c.d. sovranità popolare, termine con il quale i “pacifinti” si riempiono spesso la bocca con citazioni “ad minchiam” . Mi riferisco all’ipotesi di un referendum, da tenersi nei territori attualmente invasi ed occupati dai russi, sotto il rigido controllo delle Nazioni Unite, previa ovviamente cessazione delle ostilità e preceduto da nuove elezioni politiche in Ucraina. Non è che questa improvvisa afasia è sinonimo di disprezzo per le vere regole democratiche, o peggio, una vicinanza inconfessabile, di comunione d’intenti o magari finanziaria, ai “desiderata” putiniani? Ai lettori esprimere la loro libera opinione, perché almeno qui da noi ciò è ancora concesso e possibile, finanche per gli allocchi e i mistificatori.