Nonostante i tagli programmati, la curva dei rendimenti fatica a comprimersi: inflazione, debito pubblico e rischi geopolitici limitano lo spazio di discesa
Di: Fabio Michettoni
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Negli USA, il mercato si è adattato all’idea di tagli della FED, ma l’inflazione persistente e il premio al rischio limitano alquanto i rendimenti, soprattutto sulle scadenze brevi e medie della curva. Per l’Eurozona, l’inflazione al 2,1%, è più vicina al target, ma lo spread sovrano resta un fattore chiave per la performance del portafoglio obbligazionario locale.
Il “morso dell’inflazione” – perché è difficile tornare a rendimenti bassi
Anche se l’inflazione in molte aree economiche, come USA ed Europa, ha mostrato segni di attenuazione, essa resta ancora “persistente” rispetto agli obiettivi delle Banche Centrali. Le pressioni sui costi (salari, energia, logistica) non si sono completamente disinnescate e la “memoria inflazionistica” nei prezzi può far sì che gli operatori richiedano premi di rendimento più
elevati come protezione.
Questo implica che:
• Il mercato chiede rendimenti “reali” sufficientemente elevati per compensare il rischio inflazione residuo.
• Tassi di breve non possono scendere troppo rapidamente, perché la Fed (o altre banche centrali) teme di perdere credibilità nella lotta all’inflazione.
• I premi per il rischio su scadenze intermedie e lunghe restino elevati, riflettendo incertezza su politica fiscale, debito pubblico e prospettive macro.
In sintesi, si è creata una sorta di resistenza al ribasso per i rendimenti obbligazionari, soprattutto su scadenze medio-lunghe.
Politica monetaria e tagli programmati: effetti e limiti
La Federal Reserve ha già iniziato un percorso di tagli con l’obiettivo di supportare crescita e occupazione. Tuttavia, i membri del FOMC restano cauti per l’idea maggiormente condivisa sulla resilienza dell’inflazione, che fatica a scendere rispetto al target e per il sottile equilibrio tra stimolo e controllo. Le attese sul numero e intensità dei tagli sono molto divergenti; alcuni stimano altri due tagli nel 2025, altri ne anticipano solo uno.
In sintesi, il mercato obbligazionario potrebbe aver già scontato gran parte delle aspettative sulla fase di allentamento, ma non può spingersi troppo oltre. Questo perché, se i dati inflazionistici si rafforzassero, la Fed potrebbe frenare o invertire la direzione. Quindi, i tagli in programma possono creare “venti favorevoli” per i prezzi delle obbligazioni, con un calo dei rendimenti. L’effettoperò è modulato e dipende fortemente dall’evoluzione dei dati macro.
Comportamento della curva dei rendimenti – 1
La curva dei rendimenti USA presenta, ad oggi, caratteristiche di rigidità e difficoltà di compressione nei rendimenti a brevissimo termine (3 mesi) e differenziali rilevanti con scadenze più lunghe. Alcuni elementi da considerare:
• La parte corta della curva, 3–6 mesi, incorpora già le aspettative di politica monetaria e le conseguenti attese sui tagli; difficile che scenda ulteriormente se c’è un rischio inflazione o che la Fed voglia mantenere una “opzione al rialzo” sui tassi.
• Su scadenze medie-lunghe, 2, 5, 10 anni, i rendimenti riflettono non solo le aspettative sui tassi futuri, ma anche il premio per il rischio, credibilità della Fed, rischio fiscale, rischio recessione.
Comportamento della curva dei rendimenti – 2
- In molti casi, la curva sta tendendo verso una riallocazione in raccordo alle attese per nuovi tagli che tendono a “ripiegare” la curva sul breve, ma le scadenze lunghe non si comprimono rispondendo in modo proporzionale e lineare, portando a uno «steepening», cioè ad una «apertura» della curva nei prossimi mesi, se i tagli saranno credibili.
- Tuttavia, se l’inflazione dovesse sorprendere al rialzo o i mercati rivedessero al rialzo i premi di rischio, la curva potrebbe tendere ad un nuovo appiattimento o addirittura invertire in certe aree.
Un elemento di rischio è che l’“impermeabilità” della curva a compressioni rapide nei tassi brevi, limiti il guadagno potenziale per chi ha posizioni corte sui tassi.
I “pericoli” e le incognite per il mercato obbligazionario
Alcuni fattori chiave che potrebbero rompere l’attuale equilibrio
- Inflazione a sorpresa: se i prezzi dovessero accelerare, la Fed potrebbe revocare o ritardare i tagli, con rapide rialzate nei rendimenti.
- Sterilizzazione del debito pubblico e offerta di titoli: una maggiore emissione sovrana può spingere verso l’alto i rendimenti, specialmente a medio-lungo termine.
- Crescita economica debole: se la crescita rallenta molto, la domanda di credito calerebbe, ma i rendimenti potrebbero scendere solo se la Fed reagisse con forza.
- Aspettative di politica futura: se il mercato perdesse fiducia nella coerenza o indipendenza della Fed, i premi per il rischio aumenterebbero.
- Rischi globali: shock esterni (energia, guerra, supply chain) possono riattivare spinte inflazionistiche o stress sui mercati finanziari, riflettendosi sui rendimenti “sicuri” come quelli dei treasury.
Cosa può funzionare (o non funzionare) per un investitore obbligazionario
Alla luce di quanto sopra, ecco alcune linee strategiche potrebbero aver senso
- Diversificare su varie scadenze: non «sempre corta» né «sempre lunga», ma graduare le scadenze in funzione delle aspettative di tassi e curva.
- Non puntare su eccessiva compressione della parte corta: la discesa potrebbe essere limitata se la Fed deve mantenere dei buffer “extra margine”.
- Valutare il rischio «reinvestimento»: se si detengono scadenze lunghe, reinvestire a tassi più bassi è un rischio se i tagli non si materializzano.
- Tenere uno “scudo” contro l’inflazione: obbligazioni indicizzate all’inflazione, o titoli con cedole più variabili, possono avere un posto nel portafoglio.
- Attenzione alle duration elevate: in scenari di rialzo sorpresa, le obbligazioni long-duration soffrono molto.
Bond Market – USA ed Europa a confronto
Dopo aver visto la situazione in USA, cerchiamo adesso un confronto con il mercato obbligazionario europeo, facendo emergere i nodi chiave, i rischi in raccordo alle implicazioni operative.
Punti di riferimento
- Rendimenti brevi USA (3-mesi): il tasso sui Treasury a 3 mesi è rimasto più o meno nell’intorno del 4.0%.
- • Rendimento US 10-anni: il Treasury a 10y si muove vicino al 4.13%.
- Posizione della Fed e aspettative di taglio: la Fed ha effettuato un taglio a settembre 2025 (25 bp), ma i membri votanti si dichiarano cauti: ulteriori tagli saranno discussi, ma “meeting-by-meeting” e con attenzione all’inflazione persistente.
- Dot-plot come metrica per tracciare il consenso sui tagli: la mediana del FOMC indica la possibilità di più tagli entro fine 2025 (es. range mediano atteso: 3.5–3.75% a fine 2025).
- Inflazione Eurozona: la stima flash HICP per l’area euro ad agosto 2025 si è attestata intorno al 2.1% (a/a), con segnali che rimangono vicini al target ma non del tutto “sotto controllo” in termini di dinamica core.
- Spread Italia-Germania: lo spread 10y BTP-Bund è nell’ordine di 80–85 bps in data 29/09/2025.
Lettura sintetica dello scenario, che cosa sta succedendo e perché
- Resilienza nei tassi a breve, nonostante i tagli attesi.
Il motivo per cui i rendimenti a 3 mesi faticano a comprimersi molto è duplice. Da un lato il mercato sconta (parzialmente) i tagli, ma dall’altro persiste il rischio che l’inflazione rimanga sopra il 2% e che la Fed mantenga un premium di prudenza. Questo genera un “pavimento” dei tassi brevi: anche se i tagli sono programmati, la velocità e la quantità sono molto condizionate dai dati. - Le scadenze lunghe riflettono un premio al rischio e un’incertezza fiscale su base globale.
I rendimenti a 5–10 anni incorporano non solo aspettative sui futuri tassi di policy ma anche un premio per il rischio legato all’ incertezza fiscale, emissione di titoli e rischio geopolitico. Per questo la compressione tra breve e lungo può essere limitata: i tagli sul breve non riducono automaticamente il premio sulle scadenze lunghe. - Possibile lettura della curva: tentativo di steepening ma con molte variabili.
Se i tagli diventano credibili la curva a breve tenderà a scendere più della lunga. Tuttavia, se l’inflazione o i premi al rischio risalissero, la curva potrebbe restare piatta o tornare a essere volatile. Il comportamento più recente (scadenza a breve ancora elevata con decennale USA superiore al 4%), indica una “resistenza a scendere”. - Europa/Italia: inflazione vicino al target ma spread politici/fiscali tengono il rischio sovrano.
In Eurozona l’inflazione è più vicina al 2%, ma i premi per il rischio sovrano (es. spread BTP-Bund) rimangono sensibili a fattori politici, a emissione pubblica e alla dinamica del credito. Per l’Italia lo spread a 10y sopra gli 80 bps indica che, rispetto ai Bund, c’è ancora premio rilevante per rischio sovrano.
Rischi da monitorare
- Dati dell’inflazione USA ed EU che risalgono: ciò invaliderebbe il percorso di “cutting” e farebbe lievitare i rendimenti dei bond.
- Shock di offerta (energia e food) o escalation geopolitica, che riattivino le pressioni sui prezzi.
- Aumento delle emissioni sovrane in grado di spingere al rialzo i rendimenti a medio-lungo termine
- Eventuali crisi di fiducia su statistiche macro (es. sospensione, rallentamento di attività a supporto della pubblicazione dei dati macro, in caso di shutdown in USA, con rischio di diffondere dati non allineati alla realtà.
Implicazioni pratiche e operatività
- Evitare una attività aggressiva su compressione estrema dei tassi a breve. I tagli sono attesi ma limitati e condizionali. Per cui sarebbe opportuno puntare su una forte discesa della scadenza a 3 mesi, alfine di evitare perdite se l’inflazione non cede.
- Gestione della duration. Se si teme una recrudescenza inflattiva si deve ridurre la duration, quindi accorciare le scadenza, come protezione contro rialzi dei rendimenti. Se si danno per certi i tagli dei tassi nei prossimi mesi e che il rischio inflazione sia calante, si dovrà gradualmente implementare la duration, ma con stop o coperture.