Trump, dazi e mercati: quando la realtà economica smentisce la propaganda e mette in fuga gli investitori
Di: Andrea Panziera
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Da tempo in rete gira una presunta affermazione di Mary Anne Mac Leod Trump, madre dell’attuale Presidente degli Stati Uniti: “Sì, mio figlio è un idiota privo di buon senso e di abilità sociali, ma è mio figlio. Spero che non entri mai in politica, sarebbe un disastro”. La signora, scomparsa nel 2000, se mai avesse pronunciato quelle parole, le avrebbe dette circa una trentina d’anni or sono, ma non esistono fonti giornalistiche attendibili che le confermino, contrariamente ad altre affermazioni, non proprio lusinghiere, a proposito di un precedente matrimonio del tycoon con tale Ivana Marie Zelnickova. Ma in realtà non c’è alcun bisogno di scomodare la sua defunta mamma, dal momento che anche The Wall Street Journal, il quotidiano economico-finanziario più noto al mondo, sicuramente non annoverabile fra le testate progressiste, definisce testualmente l’iniziativa di Trump relativa all’imposizione dei dazi “la guerra commerciale più stupida della storia“. Questo editoriale estremamente critico (eufemismo), chiude con una considerazione paradossale: “I famigerati avversari degli americani, Messico e Canada, saranno colpiti da una tassa del 25%, mentre la Cina, un avversario vero, del 10%. Una mossa che ricorda la vecchia battuta di Bernard Lewis secondo cui è rischioso essere nemico dell’America ma può essere fatale esserne amico“, si legge nell’articolo. Ed infine, “la guerra commerciale di Trump non ha nessun senso e renderà l’economia degli Stati Uniti meno competitiva”. Ricordo ai lettori che fra una decina di giorni scatteranno analoghe misure contro i prodotti europei, con minacce di aliquote fino al 200%. Ma oltre alla stampa ideologicamente a lui vicina, a stroncare i primi due mesi della seconda era trumpiana al comando sono stati i Mercati. Come sempre quando si parla di economia e finanza, contano i numeri e non le chiacchiere. Da inizio anno gli indici che riassumono l’andamento di Wall Street sono in forte caduta: lo S&P 500 ha perso il 4,54% e il Nasdaq il 9,36%. Nello stesso periodo il Dax di Francoforte ha guadagnato il 17,5%, il Ftse Mib di Milano il 15,64% e il Cac 40 di Parigi quasi il 10%. I grandi investitori sono in fuga da Wall Street e le aspettative sono decisamente poco incoraggianti. Un sondaggio recentissimo, condotto fra poco meno di 200 manager di fondi di investimento, che gestiscono quasi 500 miliardi di dollari di asset, attesta che il sentiment diffuso fra gli operatori è molto pessimista e le aspettative sulla crescita sono crollate; addirittura qualcuno parla di rischio – stagflazione, altri di recessione. Lo stesso sondaggio fatto 3 mesi fa evidenziava attese completamente differenti: una larga maggioranza degli intervistati credeva in un lungo periodo di idillio fra Trump e il mondo degli affari. Dal giorno del suo insediamento, la capitalizzazione dei titoli che fanno capo al gotha dell’imprenditoria pro Trump ha ceduto ben oltre 2 mila miliardi di dollari e Tesla guida il plotone di questa debacle, con un crollo del 40%. Per non parlare infine delle cripto valute, tanto care al tycoon, che dai massimi di inizio anno hanno lasciato sul terreno circa il 25%. Se il buongiorno si vede dal mattino, chissà cosa potrà accadere da qui a quattro anni. Di fronte a questi numeri ed alle probabili conseguenze dei provvedimenti annunciati dall’amministrazione USA nei confronti dell’Unione Europea, fa un po’ specie vedere continue manifestazioni di ossequiosa deferenza da parte di personaggi di spicco delle nostre Istituzioni, che assomigliano nel migliore dei casi a episodi non particolarmente dignitosi di captatio benevolentiae, nel peggiore a squallide esibizioni di vassallaggio. A giudizio, peraltro ampiamente condiviso, della stampa internazionale, lo staff della Casa Bianca sembra attinto a piene mani dal cast di “Scemo più Scemo”, nel quale spiccano incompetenti, individui assertivamente problematici ed altre figure che, con estrema benevolenza, a Milano definirebbero “grand, gross e ciula”. Penso di conoscere l’obiezione: aldilà del comune sentire politico, questi insistiti ed esibiti contatti servono ad alimentare la coltivazione dell’interesse nazionale. Qualcuno, ignorando la profonda differenza dei concetti, potrebbe definirli patriottici e poco importa che questi riveriti interlocutori a stelle e strisce abbiano definito l’Unione Europea come una Istituzione creata per recare danno agli Stati Uniti. Ebbene, alla luce delle sempre più probabili implicazioni economiche prossime venture, invito gli zelanti approccianti a dare una occhiata ai numeri, giusto per capire quali devono essere gli interlocutori da privilegiare, ossia quelli su cui poggiano i capisaldi della nostra Bilancia commerciale. L’interesse nazionale si persegue innanzitutto non ignorando la realtà, la quale ci dice che è l’Europa il nostro partner di gran lunga più importante, sia politico che economico. Ed è con essa che dobbiamo prioritariamente rapportarci, senza ambiguità, infingimenti o malcelati e goffi interessi di bottega politica.