Si combattevano battaglie che oggi sono date per scontate, ma che allora erano una forza dirompente. E la musica ne costituiva il propellente

Di: Giuseppe Milotta

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Ci sono persone senza merito che ancora oggi vengono ricordate.
E poi ci sono persone ricche di merito, invece, dimenticate.
Claudio Lolli è una di queste.

Conobbi Claudio otto anni fa, casualmente, nei giardini Lowe di Bordighera. Era una tiepida sera d’agosto. Dovevano esibirsi, nell’ambito della rassegna musicale “D’Autore e d’Amore”, i Delirium e Tito Schipa jr, altro nome ormai scomparso dalla memoria.
Mentre attendevo l’inizio del concerto curiosavo tra i banchetti che vendevano, tra gli altri, CD degli artisti in programma. Su uno di questi banchetti, gestito da una persona anziana e con radi capelli, c’erano, però, dischi di un solo artista. Incuriosito chiesi perché avesse solo opere di Claudio Lolli, ormai caduto nel dimenticatoio. La risposta, sintetica, fu davvero spiazzante. “Perché io sono Claudio Lolli”.

Lo ricordavo nato e cresciuto, umanamente e musicalmente, a Bologna, molti capelli e altrettante idee, alfiere di un cantautorato d’impegno e d’avanguardia. Mi spiegò che si trovava a Bordighera, luogo d’origine della moglie, solo per la stagione estiva, per far crescere l’associazione culturale Aspettando Godot – che prendeva nome anche da una sua canzone – organizzatrice della rassegna.
Era già malato, ma io non lo sapevo.

Lo rividi, sempre nello stesso luogo e sempre in estate, anche nei due anni successivi. Parlammo a lungo. Ogni volta era gentile e con un basso profilo, quel basso profilo che aveva sempre mantenuto nel suo lungo percorso, umano e musicale, e che ha fatto sì che il suo nome sia oggi iscritto sulla lavagna, ma nella colonna “dimenticati”.

Poi non lo rividi più, ed il perché è noto a tutti noi che lo abbiamo amato e che ancora oggi lo ricordiamo. Il suo banchetto, però, non è rimasto vuoto. La moglie e gli amici continuano a vendere i suoi dischi, e l’associazione Aspettando Godot, cui mi onoro di appartenere perché Claudio mi donò la tessera di socio sostenitore, ad organizzare concerti e rassegne.

Non c’è mai stato risentimento nelle sue parole, né nostalgia o desiderio di riandare ai tempi passati. Forse un velo di malinconia, e non per essere stato quasi del tutto dimenticato, ma, io penso, per la vita che se ne andava.
Era un uomo di profonda sostanza, poetico, amante delle ballate, di quel folk impegnato e ricco di contenuti politici ormai quasi del tutto scomparso.

“E’ vero che non vogliamo cambiare il nostro inverno in estate, è vero che i poeti ci fanno paura…perché i poeti aprono sempre la loro finestra, anche se noi diciamo che è una finestra sbagliata”.

Sono alcuni versi di “Ho visto anche degli zingari felici”, la sua canzone forse più nota. Una canzone con un’introduzione musicale straordinaria, che in gioventù ho ascoltato e riascoltato sino quasi a consumare il vinile.

Alcuni anni fa è stata ripresa da Luca Carboni e Riccardo Sinigallia. Un omaggio a Claudio, che appare nel video (guardatelo, è disponibile su you tube) mentre, con la chitarra in mano, si allontana da solo, di schiena, in piazza Maggiore a Bologna. Come se non volesse disturbare, come se volesse dirci “non sono io che conto, non sono io che resto, ma le mie parole e la mia musica”.
Penso che Claudio abbia aperto molte finestre. Oggi, però, mi domando se qualcuno si sia mai affacciato a quelle finestre, e, ove lo avesse fatto, se ricorda il panorama.

Erano gli anni ’70, gli anni della contestazione, gli anni di piombo, gli anni dei grandi cambiamenti e dell’impegno, quelli di una società civile e di una gioventù che cercava di emergere dal sonno e che voleva fare sentire prepotentemente la sua voce.

Si combattevano battaglie – tra le tante il divorzio, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia – che oggi sono date per scontate da chi non le ha vissute. Ma allora erano una forza dirompente, spesso sino all’eccesso, e la musica, le canzoni di Claudio – ma anche di Rocchi, di Manfredi, di Pietrangeli – ne costituiva il ricco propellente.

Noi abbiamo camminato su quelle strade…I remember.

Perché eravamo anche noi “…a far ricca la terra…a far bella la luna con la nostra vita”, noi che, insieme a Claudio, gridavamo “…riprendiamola in mano, riprendiamola intera, riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l’abbondanza”.

Oggi, forse più che mai, dovremmo ricordare quella terra e quella luna, e quanto fosse, o potesse essere, ricca e abbondante la vita.

Perché è vero che “…spesso la strada sembra un inferno…dove non riconosciamo mai i nostri fratelli”, ma noi abbiamo “…visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l’amore e rotolarsi per terra”.

Non so se tu sia mai stato uno zingaro, Claudio. Forse ti ritenevi tale, forse no. Ma sento che certamente sei stato felice.