In queste ore, tutto il mondo ricorda la figura di Giorgio Napolitano e lo fa in termini quasi unanimi
Di: Andrea Panziera
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Da Via delle Botteghe Oscure al Palazzo del Quirinale il tragitto non è lunghissimo, ma per un ex dirigente del “fu” Partito Comunista Italiano quel pezzo di strada avrebbe potuto rappresentare la circumnavigazione del globo. Eppure la Storia, quella con la “S” maiuscola, che al contrario delle chiacchiere da bar e delle sparate da talk show, di solito sviluppa le sue trame in base a logiche razionali, nel 2006 aveva deciso che a salire al Colle più rappresentativo delle Istituzioni nazionali fosse proprio uno dei più noti rappresentanti di quel Partito, un tempo filo-sovietico e poi sempre più critico verso il primo Stato del socialismo realizzato, fino a maturare con Enrico Berlinguer il distacco da quella esperienza così come si era venuta configurando nel corso degli anni. In queste ore tutto il mondo ricorda la figura di Giorgio Napolitano e lo fa in termini quasi unanimi, con l’eccezione di qualche sedicente giornalista nostrano, che aldilà del possesso della tessera dell’Ordine, non possiede requisiti intellettuali o profondità di analisi tali da essere ritenuti degni di considerazione. Tutti i giudizi, da qualsiasi schieramento e da qualsiasi Stato provengano, concordano su alcuni punti, i quali peraltro scaturiscono da una comune e pluriennale conoscenza dell’ex Presidente, sia nella veste di servitore dello Stato, sia in quella di persona dotata di una straordinaria cultura, politica e generale. Nelle sue apparizioni pubbliche, fin dalla giovane età, Giorgio Napolitano ha fatto coesistere serietà, garbo e diplomazia, in qualche raro caso indulgendo al sorriso, convinto che le cariche istituzionali dovessero trasmettere sicurezza e non animosità e men che meno essere ansiogene o ridanciane. Questa sua postura, assai diversa da quella iconica attribuita al militante del PCI o a qualche suo dirigente, come il Giancarlo Pajetta che saltava sui banchi dell’Emiciclo per affrontare a muso duro l’avversario politico di turno, proprio all’interno del suo partito gli aveva procurato il nomignolo di Lord Carrington, come a sottolineare la sua figura molto ”british” , con un collaterale ed inevitabile destino a divenire un Politico di lungo corso. In realtà, questa anglofila attribuzione celava un fondo di malcelata invidia perché, aldilà delle apparenze fisiche, corrispondeva all’essenza del personaggio. Giorgio Napolitano non a caso è stato il primo esponente di un Partito Comunista occidentale ad approdare dall’altra parte dell’Oceano; questo non soltanto perché la sua corrente, quella c.d. “migliorista”, era la più vicina alla socialdemocrazia europea ed europeista, ma soprattutto in quanto era l’esponente politico in Italia che meglio di chiunque altro si esprimeva in un ottimo inglese. Sono rimasti immortalati dalle immagini i suoi dialoghi senza intermediari con i più noti esponenti politici mondiali, con la Regina Elisabetta, con attori e personaggi pubblici. La sua carriera nelle Istituzioni è stata lunghissima, gli incarichi di prestigio numerosi, la sua rettitudine morale ineccepibile. Qualcuno avanza critiche per la gestione della crisi di Governo del 2011 e per la scelta di Mario Monti come nuovo Presidente del Consiglio. Io mi limito a ricordare che l’Italia era sull’orlo del default finanziario e le conseguenze avrebbero potuto essere ben più catastrofiche di quelle patite dalla Grecia, vista la mole enormemente superiore del nostro Debito Pubblico. Il nostro potere contrattuale nei consessi internazionali era prossimo allo zero e l’unica figura proponibile era un tecnico super partes, la cui capacità fosse riconosciuta e apprezzata dai Mercati. Non esistevano altre strade percorribili e chiunque non si ostini a farneticare di complotti o simili amenità, teorie smentite dalla legge dei numeri oltreché da quella delle aule giudiziarie, ne è perfettamente consapevole. La circostanza che la stessa classe politica, la quale larvatamente o palesemente lo criticava, lo avesse poi richiamato disperata per accettare un secondo mandato, la dice lunga sulla sua credibilità. Obtorto collo ha accettato questa incombenza, disfacendo le valigie già pronte; ma il suo discorso di insediamento rimane scolpito a futura memoria nelle fondamenta delle Istituzioni, divenute deboli e bisognose di riforme. L’esercito di queruli e vacui opinionisti, parvenue della politica, bloggisti tuttologi, seguaci consapevoli o meno di Guglielmo Giannini, avrebbero la impellente necessità di studiare il suo operato con attenzione, per apprendere l’ABC dell’essere Uomo di Stato.