Spoil system, letteralmente “sistema di bottino”, è un’espressione che indica la procedura con cui si sostituiscono i vertici delle aziende con esponenti vicini alle forze politiche
Di: Andrea Panziera
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Forse non tutti sanno che uno dei termini più usati quando un Governo, un Ente locale, un’Amministrazione pubblica ovvero qualsiasi contesto dove periodicamente si provvede alla nomina o alla sostituzione di dirigenti, manager, responsabili di incarichi di una certa importanza, nella sua traduzione letterale e soprattutto nella prassi operativa acquisisce una valenza invero molto esplicativa. Spoil system significa letteralmente “sistema di bottino” (o, ampliando il concetto, spartizione del medesimo) ed è una espressione nata negli Stati Uniti d’America e praticata con più o meno accortezza ed efficacia in tutte le parti del mondo. Essa indica la procedura con la quale si è soliti sostituire i vertici delle aziende più importanti e quelli di tutte le realtà, grandi o piccole che siano, ritenute di un qualche interesse, con esponenti vicini alle forze politiche che hanno vinto le elezioni. Nella realtà, lo spoil system, o le sue varianti autoctone malamente dissimulate, è pratica ormai ampiamente diffusa in tutti gli ambiti della nostra società in cui sono presenti cariche o incarichi che conferiscono una qualche forma di potere, seppur di piccolo cabotaggio e limitato a contesti locali dei quali i più conoscono a malapena l’esistenza. Come direbbero i cultori delle discipline economiche, a livello macro è di queste ore la polemica sulla sostituzione di cariche importanti (leggi INPS e INAIL), con i vertici attualmente in sella che alzano alti lai, forse immemori della circostanza che la loro salita al trono era avvenuta più o meno nelle stesse condizioni e con le medesime modalità. Ovviamente, sarebbe prioritaria una disamina attenta del loro operato così come lo sarebbe stato di quello dei loro predecessori. Ma, “ça va sans dir”, soffermarsi su queste sottigliezze metodologiche fa perdere tempo prezioso all’urgenza delle nuove nomine e quindi si passi in fretta al punto successivo. Come hanno suggerito su altri paper penne molto più brillanti del sottoscritto, nel clima di belligeranza verso gli idiomi esogeni, perché non modificare anche il nome della pratica così sfacciatamente esterofilo in uno più consono all’italico sentire? Disponiamo di un vocabolario ricco e bellissimo, una vera Open to Meraviglia verbale (pardon!, mi si perdoni la caduta linguistica) che abbonda di termini in grado di tradurre la vera essenza del concetto in modo intellegibile e del tutto inattaccabile. Alcuni esempi? Spartizione, lottizzazione, cooptazione, appropriazione. Mi fermo qui, ma con poche e marginali varianti sulla metodologia e sull’inclusione del termine, l’elenco potrebbe essere molto più corposo. Ad onor del vero, è corretto ricordare anche l’esistenza di una schiera tutt’altro che sparuta di convinti difensori dello spoil system. Costoro affermano che tale pratica si configura come perfettamente legittima e funzionale alla democrazia dell’alternanza, in quanto l’azione di un nuovo Governo deve essere accompagnata da dirigenti che ne condividano i principi e ne eseguano le direttive programmatiche. Se questa opinione, presa a sé stante, può presentare un terreno di teorica condivisione, pur tuttavia rimane un dubbio, tradotto in una semplice domanda, alla quale spesso vengono concesse risposte vaghe e per nulla esaustive. Quali sono i criteri di scelta e valutazione, sul cui rispetto e verifica viene effettuata la selezione e la nomina dei candidati? Qual è la “misura” della adeguatezza al ruolo? E qualora i migliori, sulla base di requisiti oggettivi, non fossero riconducibili alla cordata dei vincitori politici, cosa accadrebbe in questo caso? Verrebbero nominati quelli più bravi o quelli più fedeli, anche se meno preparati o adeguati dei primi? Le evidenze empiriche, a parte poche e meritevoli eccezioni, lasciano pochi margini di dubbio ed il vorticoso via vai degli Esecutivi tricolori aggrava viepiù situazioni che già in partenza appaiono piuttosto problematiche. Queste dinamiche, se possibile, sono ancora più pervasive man mano che si scende nella dimensione e nell’ubicazione delle realtà coinvolte. Spesso il criterio del c.d. “merito” assume connotazione piuttosto bizzarre, prive di qualsiasi oggettività fattuale e documentale, con una prevalente logica di selezione che ricorda quella della cordata. Chi è nella condizione o ha la capacità di mobilitare la lobby più potente, reale o presunta tale, risultato questo che prescinde dal contributo effettivo di quest’ultima all’Ente o Istituzione interessata, trascinerà seco i suoi sherpa e qualche lacchè in servizio permanente effettivo, seppellendo il simulacro di ogni residua nozione di meritocrazia. E che dire degli utenti, qualunque sia la loro tipologia e le loro necessità ed esigenze? Di solito per loro, oltre al pagamento del conquibus per il servizio ricevuto, non sono previste spiegazioni o ruoli in commedia. Men che meno la formalizzazione del diritto alla critica. Al massimo li si può ricompensare con una dotta locuzione tranchant del sommo poeta: “Vuolsi così colà dove si puote”.