Il primo mondiale di calcio in un Paese arabo verrà sicuramente ricordato per il rimescolamento delle gerarchie nella classifica pallonara
Di: Andrea Panziera
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Il primo mondiale di calcio in un Paese arabo, per di più in inverno, oltre che per le verosimili “facilitazioni” economiche generosamente elargite a qualche politico, anche nostrano (come sempre, è bene aspettare il corso della giustizia prima di esprimere una condanna definitiva a chicchessia), verrà sicuramente ricordato per il rimescolamento delle gerarchie nella classifica pallonara. Finora il paradigma quasi secolare è stato un continuo braccio di ferro fra Europa e Sudamerica, alternativamente vincitrici del Campionato del Mondo, qualunque fosse la sua denominazione. Uruguay, Brasile ed Argentina da una parte, Italia, Germania, Inghilterra, Francia e Spagna dall’altra; ad oggi soltanto otto Nazionali hanno alzato al cielo la più ambita fra le coppe. Delle attuali semifinaliste, due hanno trionfato in passato ma per la prima volta nella storia di questa competizione una squadra africana figura fra le prime quattro al mondo, con un ruolino di marcia sicuramente molto significativo. Il Marocco ha infatti eliminato con pieno merito negli ottavi la Spagna ed ai quarti il Portogallo, due compagini che alla vigilia erano unanimemente indicate fra le possibili favorite. Entrambe le vittorie sono state costruite grazie ad un gioco di squadra che ha messo al centro del progetto un’idea di calcio basata sullo spirito di sacrificio collettivo, sull’aiuto reciproco in ogni frangente della partita ed in qualsiasi zona del campo, a prescindere dai rispettivi ruoli. Parafrasando Angelo Beolco detto il Ruzante, il motto fatto proprio da Hakimi e compagni potrebbe essere : “in ogni match , per ogni gaudenza, ci vuole sofferenza”. Così, tutti i nazionali del Marocco hanno gettato nella contesa ogni stilla di energia disponibile, palesando una condizione atletica invidiabile. Corsa, determinazione, carattere, accortezza tattica, con alcune individualità a noi ben note, in quanto hanno militato o tuttora giocano nel nostro Campionato o nei principali tornei europei. Questi i presupposti delle vittorie. Però, a differenza di altri celebrati protagonisti dell’ars pedatoria, nessuno di essi ha la pretesa di essere considerato un “primus” , seppur “inter pares”, probabilmente grazie al sapiente lavoro dell’allenatore, che ha saputo trasmettere e far recepire loro un concetto semplice semplice, che vale per tutti gli sport di squadra: il successo è quasi sempre figlio del collettivo, raramente del singolo. Avere a disposizione dei fuoriclasse indubbiamente aiuta, ma 11 buoni giocatori che si aiutano l’un l’altro in molti casi riescono a contenere la pericolosità anche dei player più acclamati e pagati. Per questi motivi Qatar 2022 segna un punto di svolta importante. Il calcio, soprattutto a causa di motivi legati a questioni economiche, finora è stato una sorta di riserva di caccia per pochi Paesi/Continenti, contrariamente a quasi tutte le altre discipline, in cui i competitors di alto livello provengono da una pluralità di Stati. E’ possibile, forse abbastanza probabile, ritengo anche auspicabile, che d’ora in poi non sia più così, perlomeno a livello di squadre nazionali. E questo, aldilà di ogni altra considerazione, per quanto importante, di carattere extra sportivo che in queste ore occupa grande spazio sui media, rappresenta sicuramente una svolta epocale, le cui conseguenze saranno tutt’altro che marginali per il mondo del football.