In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “L’isola dei morti”, lo scrittore e filosofo veronese Fabrizio Valenza ha deciso di raccontarsi al Basso Adige
Di: Anna Maselli
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Cari amanti del mistero, un racconto horror è arrivato in città. E quale location migliore dove presentarlo, se non la sala di un museo? Martedì 29 novembre, alle ore 16.30, presso il Museo di Storia Naturale di Verona, Fabrizio Valenza presenterà il suo nuovo romanzo L’isola dei morti.
Uscito per la prima volta ad agosto sulla piattaforma di Amazon, il romanzo dal genere horror-gotico è un’autopubblicazione dello scrittore veronese. Noi de Il Basso Adige abbiamo deciso di intervistarlo per conoscere qualche curiosità in anteprima.
L’isola dei morti: la trama
Anno 1885. Andrea Nascimbeni è un antropologo veronese che si reca sulla cosiddetta “Isola dei morti”, al largo della costa ligure di Zoagli, dopo averne viste rappresentate le esotiche strutture funerarie nei dipinti dell’amico Arnold Böcklin. L’intento di innovare i suoi studi lo immerge nella soffocante atmosfera della cittadina senza nome, dove l’architettura destinata ai trapassati riceve maggiori attenzioni di quella dei viventi.
Il delirio lo avvolge ora dopo ora, forse provocato dai numerosi sinistri misteri in cui si imbatte. Nemmeno la febbre può tuttavia impedirgli di rintracciare i sepolcri aperti e nascosti alla vista di visitatori fortuiti. Esacerbato dai segreti dell’isola e dall’omertà dei suoi abitanti, Nascimbeni trova un momentaneo conforto solo in una donna, della quale si invaghisce.
Nulla è però come sembra e l’incontro con un uomo avvolto dal mistero lo mette sul chi va là, quando lo invita ad abbandonare l’isola. L’antropologo, tuttavia, s’ingegna per rimanervi nascosto fino alla vicina festa del “32” ottobre, come viene scherzosamente definita dalla locandiera che lo ospita, perché sa che si tratta del momento in cui potrà capire quali strani riti funerari si celebrano in quel luogo.
L’intervista a Fabrizio Valenza
Come nasce la tua passione per la scrittura?
«Nasce dal bisogno di raccontare e di raccontarmi. Aiutato fin da quando ero bambino dalla grande biblioteca di famiglia, lì dentro potevo trovare molto di ciò che mi interessava […]. Fu l’incontro con un romanzo d’avventura di Salgari (di cui non ricordo il titolo) ad aprirmi dinnanzi gli occhi della mente alla possibilità di raccontare in modo credibile luoghi mai visitati di persona. Quello fu il LA per la mia fantasia, assieme ad alcuni grandi libri rilegati con tanto di copertina in cartone e stoffa, ma fatti di pagine bianche, che mio padre mi regalava di tanto in tanto. Lì dentro potevo riempire ogni pagina con mondi che andavo inventando. Avevo tra i dieci e i dodici anni. Da quell’età non ho mai smesso di scrivere: racconti, poesie e infine romanzi, arrivando alla pubblicazione con gli editori nel 2008 (a 36 anni)».
Nel 2004 hai deciso di dare una svolta alla tua vita e dalla banca sei tornato ai banchi di scuola. Com’è la vita di un insegnante-scrittore? È difficile conciliare entrambe le tue passioni?
«Non è delle più semplici, in effetti. Sebbene insegnare ai bambini (sono insegnante presso la Scuola dell’Infanzia) mantenga giovane la fantasia, e sia perciò affine al lavoro mentale che si fa normalmente con l’invenzione di una storia, il problema maggiore è la gestione del tempo. Sono uno scrittore prolifico e solitamente ho almeno due o tre progetti che sviluppo in contemporanea, ma il tempo a disposizione è purtroppo sempre molto risicato. Nel pomeriggio, dalle tre in poi, ho a disposizione quelle poche ore che mi separano dalla sera (tranne quando siamo in vacanza), e vanno gestite per bene dividendole tra stesura di storie a propria firma e l’attività di ghostwriter. Ebbene sì, scrivo anche testi per altre persone, che poi li pubblicano firmandoli a proprio nome».
Il tuo lavoro ti porta ad essere a contatto con i giovani per gran parte del tuo tempo. Credi che la loro sia una generazione avversa alla lettura?
«Non credo. Stando a ciò che si vede a scuola, i ragazzi sono forse più avvezzi ai libri di quanto lo fosse la mia generazione degli anni Settanta. Vedo che anche all’interno del mio ambito scolastico, quello dell’infanzia, i bambini vengono accompagnati verso il libro, abituandoli a cercarne per scoprire storie e scoprire il mondo. Mi pare di capire, stando alle statistiche di lettura, che i giovani leggano mediamente più della fascia d’età a cui appartengo io».
A proposito di giovani, da qualche mese a questa parte è scoppiato su Tiktok il fenomeno del Booktok. Da “tiktoker” quale sei, cosa ne pensi della divulgazione tramite social network?
«Credo anch’io che il Booktok sia un buon modo per avvicinare i ragazzi al libro come oggetto. Forse c’è un problema di velocità, dal momento che i tempi dei social sono sempre molto brevi, più che veloci, e la comunicazione potrebbe comunque riversarsi sui titoli più noti e dal contenuto spesso più facile. La calma di una libreria è insostituibile. Però credo che i social siano ormai fondamentali per proporre a un grande pubblico argomenti che fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile anche solo suggerire. C’è poi da dire che, per un autore che qualche volta propone i suoi libri in self-publishing come faccio io, i social sono una vera manna dal cielo, perché ti fanno arrivare a tutti. […] Da qui l’importanza di saper proporre con efficacia i propri argomenti. Serve, allora, una certa predisposizione al marketing e un minimo sapersi muovere tra tutte le novità che il mondo social presenta di giorno in giorno».
Dopo 15 anni e con 15 romanzi alle spalle, con L’isola dei morti hai deciso di tornare all’autopubblicazione. Ci spieghi cosa ti ha spinto a compiere questa scelta?
«Pubblicare con gli editori è sempre un bel percorso, se lo si sa prendere con il dovuto distacco. Raramente, però, uno scrittore sa prendere le cose con distacco, perché si riversa in ciò che scrive e si augura sempre che il tragitto seguito dalle sue storie tra la gente sia il migliore. Non sempre è così. […] Dopo molte soddisfazioni con la quindicina di romanzi pubblicati con editori piccoli e medi, romanzi fantasy e romanzi del brivido e del perturbante, ho deciso di riprovare per alcuni titoli la strada dell’autopubblicazione, fondando una mia etichetta, “Albero del Mistero“, con la quale proporre storie che sono intrise di mistero, per l’appunto, e di emozioni. Poter gestire tutti gli aspetti della pubblicazione del tuo libro, agendo con la serietà e l’impegno necessari a garantire il successo di una storia, è impagabile, seppur faticoso».
Torniamo al tuo nuovo racconto. L’isola dei morti è un romanzo horror-gotico, un genere indubbiamente particolare. Cosa ti ha ispirato nella stesura di questo libro?
«L’idea mi è venuta quando ho ascoltato il poema sinfonico di Rachmaninov su YouTube. Non lo conoscevo, e fin da quando l’ho sentito, una storia di amore e morte, di passione e di avventura mi si è fatta strada tra mente e cuore, trasformandosi a ogni riascolto in una trama che chiedeva di essere scritta. L’incontro, poi, con i dipinti di Arnold Böcklin ha completato il tutto, conferendo alla storia l’ambientazione e l’occasione narrativa. All’interno del romanzo L’isola dei morti, infatti, il protagonista e il pittore Böcklin sono amici e il secondo ispira al primo il viaggio sull’isola al largo della costa ligure, con il desiderio di fare le sue ricerche in ambito antropologico».
Andrea Nascimbeni, il protagonista del racconto, è un antropologo veronese. Oltre alla città di origine, ci sono altri aspetti che avete in comune? Quali sono i tratti del protagonista che reputi più interessanti?
«Con ogni probabilità, il lato che ci accomuna di più è il suo desiderio di voler aprire una strada nuova negli studi di antropologia, perché in fondo Andrea Nascimbeni è quello che in psicologia viene chiamato un “maverick”, una persona che fa di testa propria perché segue le proprie intuizioni, arrivando a scoprire cose che altri non scoprirebbero mai. Ecco, forse questo è l’aspetto che più ci accomuna. Quello più interessante, però, è forse un altro, ed emerge quando conosce una donna, sull’isola, della quale si innamora. Una storia d’amore che farà emergere dalle profondità del suo animo aspetti nascosti, che lo rendono un essere umano reale, a tutto tondo».
Ultima domanda: dacci 3 motivi per leggere il tuo nuovo libro.
«Il primo motivo non può che essere relativo alla vicenda: una storia che sorprenderà per il finale inimmaginabile e l’esito delle scelte del protagonista. Il secondo motivo perché è costruito con una credibilità storica e un approccio metodologico molto elevati, ragion per cui il Museo di Storia Naturale di Verona ha accettato di accogliere e appoggiare la presentazione del romanzo. Terzo motivo, molto semplice: l’inquietudine che un romanzo gotico sa provocare nel lettore è impagabile. E L’isola dei morti ci riesce, mi dicono, a pieno titolo».
Fabrizio Valenza: di più sull’autore
Fabrizio Valenza è un filosofo e scrittore veronese di origini siciliane. Dopo nove anni di lavoro in banca ha deciso di dare una svolta alla propria vita e, nel 2004, è diventato insegnate nelle Scuole dell’Infanzia. A partire dal 2007 ha iniziato a pubblicare romanzi con il self-publishing, tra cui il celebre romanzo “Storia di Geshwa Olers“. Ha collaborato poi con molti editori, per lo più medio-piccoli. Dopo 15 anni di esperienza e con 15 romanzi alle spalle, ha deciso di ritornare all’autopubblicazione, per offrire al lettore un’esperienza più personalizzata.
“Ho il pallino di raccontare il mondo secondo il mio punto di vista”
– Fabrizio Valenza
Il Natale è alle porte e L’isola dei morti è un perfetto regalo da mettere sotto l’albero! Il libro è acquistabile su Amazon in formato ebook e cartaceo.