La polemica contro la speaker della Camera USA Nancy Pelosi a causa della sua visita a Taiwan sta assumendo toni piuttosto accesi
Di: Andrea Panziera
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In queste ore la polemica contro la speaker della Camera USA Nancy Pelosi a causa della sua visita a Taiwan sta assumendo toni che definire violenti appare come una benevola “deminutio”.
A detta di alcuni, la sua azione farebbe il paio con l’attentato di Sarajevo all’Arciduca Ferdinando ed alla moglie Sofia, da tutti gli storici ritenuta la causa scatenante della prima guerra mondiale. Il nutrito coro di alti lai ha raggiunto l’acme quando qualcuno si è lanciato nella temeraria profezia: dovremo ringraziare la Pelosi per il possibile scoppio del conflitto con la Cina, che sommato a quello in corso fra Russia ed Ucraina può rappresentare la via di non ritorno verso una deriva che può condurre alla catastrofe nucleare.
Sarebbe facile rispondere a tutti questi profeti di sventure semplicemente invitandoli a rileggersi la storia, quella passata e soprattutto quella recente, prima di proferire affermazioni dal sen fuggite. Oppure, più semplicemente, porre loro una domanda facile facile: avete almeno compreso le dichiarazioni della Pelosi in merito al mantenimento dello status quo, quindi la non messa in discussione del medesimo, o ritenete che un leader politico di qualunque sistema democratico debba chiedere il permesso in carta bollata a Pechino prima di fare scalo a Taipei? Perché, in questo caso, la questione è piuttosto semplice e non consente infingimenti: abbiate come minimo il coraggio di dire che la Cina ha tutto il diritto di occupare “manu militari” quella che un tempo si chiamava Formosa, a dispetto della volontà e della sicura opposizione di tutti i suoi 23 milioni di abitanti, di abolire il sistema democratico ivi vigente e , così come accaduto ad Hong Kong a dispetto degli accordi internazionali all’epoca sottoscritti, di fare in breve tempo strame di tutti i diritti civili a partire dalla libera manifestazione di ogni forma di dissenso.
Alcuni obietteranno, alla maniera di Orazio, che “est modus in rebus”. Lascio queste fini diciture allo stuolo degli esperti in affari internazionali (o sedicenti tali). Molto più modestamente io vorrei ricordare a coloro i quali lo ignorano, che l’iniziativa della Pelosi non costituisce una provocazione estemporanea di una ormai anziana esponente politica al tramonto della sua carriera, ma trova la sua scaturigine in una legge di oltre 40 anni fa, promulgata dall’allora Presidente Carter, in merito alla quale sinora nessuno ha avuto da ridire.
Parlo del “ Taiwan Relations Act”, con la quale lo Stato americano stabiliva che “ogni tentativo di determinare il futuro dell’isola con mezzi differenti da quelli pacifici avrebbe costituito una minaccia alla pace ed alla sicurezza di quell’ area ed avrebbe di fatto rappresentato un motivo di preoccupazione (eufemismo) per gli Stati Uniti”. Mi chiedo: esiste qualche persona in buona fede, che abbia un minimo di conoscenza delle dinamiche attualmente praticate nelle politiche e nelle relazioni internazionali dal regime di Pechino, che possa negare, dati e documenti alla mano, i progressivi e sempre più invasivi interventi dei suoi plenipotenziari di ogni livello in quasi tutte le parti del mondo, dall’Asia all’Africa e finanche in America Latina?
Attività quasi sempre veicolate come meri progetti di natura infrastrutturale e tecnologica, conditi da una parvenza di spirito più o meno umanitario a favore di Stati “deboli”, ma che puntano a stabilire una dipendenza permanente ed irreversibile nei confronti dell’economia del Dragone. Dove ciò non sia possibile, come nel caso di Taiwan, le relazioni bilaterali subiscono improvvise accelerazioni di aggressività, con l’effettuazione di operazioni militari minacciose senza il rispetto di alcun limite territoriale, aventi lo scopo di lanciare precisi messaggi intimidatori a tutti i player dell’area, Giappone e Corea del Sud in primis.
La Cina, che all’interno dei c.d. BRICS sta assumendo in modo sempre più palese il ruolo di leader mondiale indiscusso dei Paesi autoritari, facendo da calamita per le nuove adesioni, è convinta che il potere e la funzione arbitrale americana nei contesti internazionali attraversi una crisi fortissima e che tutto il sistema di valori rappresentato dall’Occidente si trovi in una fase irreversibile di declino e decadenza.
Anche in forza di questo condiviso convincimento la Russia, che nei prossimi anni rischia di diventare sino – dipendente per gran parte del suo sistema economico, ha intrapreso la sua insensata disavventura bellica in Ucraina. Mi chiedo: non è forse già troppo tardi per lanciare un messaggio forte e chiaro a tutti i regimi che conculcano le libertà individuali, che opprimono le minoranze (leggi Uiguri), che da qui a breve potrebbero impadronirsi di risorse e tecnologie vitali per lo sviluppo futuro dei nostri sistemi economici? O dobbiamo assistere attoniti ed impotenti ad ogni sorta di misfatto davanti alla TV, stando comodamente seduti nei nostri salotti, sperando che qualcuno nel frattempo non ci sfili la poltrona da sotto il sedere?
Mi intendano i lettori. Non auspico in alcun modo una qualche professione di bellicismo fine a se stessa, ma molto più semplicemente un segnale di esistenza in vita dei valori fondanti del sistema democratico e la sua rinnovata determinazione a difenderli, ovunque essi siano garantiti e praticati, contro qualsiasi tentativo di prevaricazione.