Si complica la strada dell’attuale sindaco di Torino per difendere i diritti dei figli di coppie omogenitoriali. Rimane solo la Cassazione

Di: Valentina Sartori

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A distanza di quattro anni dalla prima iscrizione, arriva anche la pronuncia della Prefettura di Torino sulla registrazione all’anagrafe di figli di coppie omogenitoriali. L’Ufficio non potrà più accettare denunce di nuove nascite con il cognome di entrambi i genitori, se questi sono dello stesso sesso. Così il Prefetto si accoda alla sentenza della Corte d’Appello dello scorso 18 febbraio. Ora il sindaco, Stefano Lo Russo, non potrà più avallare tali ufficializzazioni, pena l’accusa di abuso d’ufficio, per la quale potrebbe perdere la carica.

La storia

Era l’aprile 2018 quando l’allora sindaco di Torino, Chiara Appendino, iscrisse per la prima volta nei registri dello Stato Civile, tre bambini figli di coppie omogenitoriali. Tra questi, Niccolò Pietro: figlio di Chiara Foglietta, vicecapogruppo del Pd in consiglio comunale, e della compagna Micaela Ghisleni, bioeticista. Il Comune si muove da allora secondo principi etici, non prettamente politici o legislativi. Senza soluzione di continuità tra le cariche, ritiene che il genitore sia colui che si prende cura dal bambino ed è attivo nell’educazione e nel mantenimento, prescindendo dal matrimonio o dal diverso genere dei genitori.

Il Comune si era costituito parte in un contenzioso che riguardava una coppia di donne, alle quali non era stato concesso si assegnare entrambi i cognomi al proprio figlio. Perso il primo grado, è arrivata lo scorso febbraio la sentenza d’appello, alla quale si è accodata la diffida del Prefetto. Il sindaco Stefano Lo Russo e l’assessore ai Diritti Jacopo Rosatelli sono pronti a replicare il ricorso in Cassazione, dopo che avranno approfondito i dettagli giuridici.

Coppie omogenitoriali: la situazione attuale

Sino ad ora sono ben 79 i figli di coppie omogenitoriali iscritti all’anagrafe del Comune di Torino e l’orientamento politico della Giunta negli ultimi 4 anni è sempre stato rivolto all’interesse dei minori ed alla tutela della famiglia, a prescindere dal sesso dei genitori. Sono forti della convinzione che se la società è in maggioranza pronta ad accettare queste innovazioni, lo deve essere anche la politica.

Non solo Torino, ma anche a Venezia nel novembre 2020, con la sentenza n. 230, due donne si sono viste negare la trascrizione, nei registri dell’anagrafe, del figlio nato da procreazione assistita all’estero. Nonostante nel paese in cui è avvenuto il parto fosse consentito dare i cognomi di entrambi i genitori, arrivate in Italia tale diritto è stato negato e solo uno dei genitori ha potuto dare il cognome al figlio.

La legge

Si evidenzia sempre più il vuoto legislativo sulla questione della parità dei diritti. In Italia non ci sono leggi a tutela delle famiglie arcobaleno, come esistono in altri paesi. Tali lacune, seppur alcune amministrazioni tentino di mettervi delle pezze, deflagrano poi con sentenze come quella della scorsa settimana. Cosa ne sarà ora di quei 79 bambini? Sino ad oggi avevano riconosciuti due genitori, ed adesso? Uno dei due genitori sarà escluso dalle cure ospedaliere, dalla scuola, dalla rappresentanza sui documenti ed estromesso dal diritto successorio e da ogni decisione del minore.

Di colpo e senza preavviso, quando sembrava che il nostro paese avesse capito l’importanza dell’uguaglianza e della parità ci troviamo sbalzati nel medioevo. Tali valori, sanciti tra l’altro come valori cristiani, vengono calpestati senza preoccuparsi delle conseguenze per i soggetti coinvolti. Dall’affossamento del DDL Zan alle vaneggianti dichiarazioni di esponenti politi contrari all’iscrizione all’anagrafe di questi figli, assistiamo ad una retromarcia ingiustificabile ed inconcepibile. Mentre il legislatore sta a guardare.